Willard – Il Paranoico | Recensione film

willardWillard (Crispin Glover) è un perdente: a cominciare dal fatto che, in ambito lavorativo, non riesce a sopperire alle crescenti esigenze della ditta, per proseguire con l’aggravante che l’attività presso la quale svolge il suo ruolo di impiegato è stata fondata dal padre.
Ma, oltre ad essere decisamente frustrato dalla situazione lavorativa, anche in ambito familiare Willard soccombe ad una triste situazione: la madre è gravemente ammalata, e recenti traslochi negli appartamenti del condominio hanno messo in agitazione, nello scantinato, colonie di ratti…
Solo, senza amici su cui riversare i suoi tristi pensieri, e stuzzicato da continue umiliazioni cui Martin (R. Lee Ermey) il suo capufficio lo sottopone, Willard si appresta a munirsi di trappole e preparati “topicidi”, in tarda serata minuziosamente collocati in cantina.
Lo scoccare, a notte fonda, delle trappole desta Willard, che precipitosamente si dirige nel seminterrato: un topo bianco è rimasto intrappolato nella colla dispensata sul pavimento.
La piccola ed indifesa creatura muove Willard a compassione, tanto da indurlo a liberare immediatamente l’animale dal feroce trabocchetto: non prima, però, di averlo battezzato con il nome di Socrate….
La straniante solitudine in cui versa, accompagnata dalle umiliazioni quotidiane culminanti nel licenziamento e nel progressivo decadimento fisico della madre, porta Willard a provare un profondo affetto per il topolino: affetto prontamente contraccambiato non solo da “Socrate” (che ha il privilegio di condividere il letto con l’ospite umano), ma dall’intera legione di ratti…
Il processo di empatia tra Willard ed i topi si consolida in una sorta di legame “gerarchico” all’interno del quale l’uomo comanda i topi grazie all’ausilio di Socrate e di un grosso, e permaloso, ratto (chiamato Big Ben per le sue smisurate dimensioni).
Consapevole del fatto che, in passato, il padre si è tolto la vita a seguito dei debiti provocati dal suo socio in affari (ed ora datore di lavoro di Willard) e “fuori controllo” a seguito del licenziamento, e della successiva morte della madre, nella testa del “paranoico” inizia a muoversi l’idea di vendetta.
A nulla serve l’apparente simpatia dimostrata dalla bella Cathryn (Laura Harring) che tenta, in più occasioni, di avvicinarsi sentimentalmente a Willard…

Straordinario rifacimento di una pellicola semisconosciuta datata 1971 (Willard e i Topi), questo film, diretto da Glen Moran e co-sceneggiato dall’autore del soggetto originale (Gilbert Ralston) non solo supera il modello originale per tecnica narrativa e messa in scena, ma si pone come uno dei migliori esempi di remake.
A nobilitare l’intera operazione è la perfetta immedesimazione del bravissimo Crispin Glover, nei panni di Willard, che tratteggia con profonda precisione la psicologia del personaggio grazie ad una mimica e ad atteggiamenti di incredibile efficacia (che raggiungono la massima espressione nella scena del tentato “suicidio”) e ad un non comune physique du rôle….
La figura di un perdente -destinato e al tempo stesso portato alla sconfitta- ci è presentata con sofisticato approfondimento psicologico del personaggio; tanto da arrivare a provare, nei suoi confronti, una vasta e ampia (nonché contradditoria) gamma di sensazioni: simpatia e commiserazione si convertono in odio e condanna, quando l’atteggiamento finale di “tradimento” lo rende “individuo” inaccettabile anche dal punto di vista “dei sorci”….
Ma è solo in chiosa del film che, Il senso di isolamento del personaggio (ben reso da un abbigliamento “d’altri tempi” e corroborato da una pettinatura ottocentesca), raggiunge la sua massima espressione e lascia spazio ad un possibile proseguimento….
Una validissima sceneggiatura (con dirompenti irruzioni di macabra ironia, come quando Willard riceve in dono un gatto) ed un’ottima scenografia, insaporita da un uso delle luci che puntano al “seppia”, con accorto utilizzo di grandangoli e luci soffuse fanno del film un valido esempio di “Grande Cinema”.
L’utilizzo di ratti (veri, tranne che per la sola sequenza in pre-finale con utilizzo di CG) e l’impiego di ottimi comprimari che circondano Willard, rende la storia credibile e verosimile. Spicca, tra gli interpreti, il bravissimo/perverso R. Lee Ermey, già visto nei panni di Sceriffo malvagio nel remake di Non Aprite Quella Porta (e presente anche nel prequel, TCM: The Beginning); e non da meno figura la caratterizzazione, della bella e raffinata Laura Harring, nei panni della sensibile Cathryn …
Il film, girato nel 2003, è opera di un regista non nuovo a tematiche macabre ed orrorifiche: oltre alle serie televisive di X -Files e Millennium, suo è il contributo (in sceneggiatura) per Final Destination, serie alla quale è tornato di recente (in analogo ruolo) contribuendo allo script di Final Destination 3.

Mentre saranno pochi a ricordarsi (in un ruolo marginale) di Crispin Glover in Venerdì 13: Capitolo Finale (Il quarto film della serie dedicata a Jason). Mentre lo stesso attore, dopo aver debuttato in regia nel corso del 2005, ha recitato in un altro horror che uscirà nel corso del 2006: Simon Says….
Un ringraziamento ad Edwige Fenech e Luciano Martino (promotori italiani del film) che a distanza di due anni hanno permesso a questo “gioiello” di trovare distribuzione nelle sale cinematografiche.

Recensione a cura di Undying1

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Barbara Torretti
Barbara Torretti
Editor e moderatrice della community di DarkVeins. Appassionata di cinema horror, mi occupo anche di recensioni e di interviste attinenti il circuito cinematografico, musicale e artistico.

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