La parola “splatter” in lingua inglese significa “schizzare”, “spruzzare”; quando usiamo questo termine, intendiamo un film in cui si svolgono scene con abbondanti fuoriuscite di sangue.
La parola “gore” sta a significare “sangue versato e rappreso”; la utilizziamo in presenza di scene con cadaveri sbudellati e sviscerati.
Questi due elementi sono determinanti per ogni appassionato del cinema a tinte forti. E non deve trattarsi necessariamente di un film horror. Negli ultimi 15/20 anni, troviamo pellicole dei più disparati generi con la presenza di un alto tasso di emoglobina. Basti pensare ai fantascientifici Starship Troopers e Punto di Non Ritorno, oppure allo spielberghiano Salvate il Soldato Ryan, oppure ancora ad action-movies come Le Iene e Pulp Fiction di Tarantino, o anche al western Pronti a Morire di Raimi; generi differenti, ma accomunati dalla presenza di effetti grandguignoleschi di sicura presa sullo spettatore. Sono addiritura necessari in alcuni paesi orientali, come nel cinema d’azione di Hong Kong, Giappone e Corea del Sud, dove la richiesta di scene estreme è molto elevata tra il pubblico. Ma noi faremo sosta nel nostro paese, ripercorrendo per sommi capi l’origine dello splatter, senza in alcun modo avere la presunzione di raccontarlo nella sua completezza .
Tutto ha inizio tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei 70. Siamo nel periodo delle grandi contestazioni studentesche, della guerra nel Vietnam e delle manifestazioni pacifiste, dei “figli dei fiori” e della liberalizzazione sessuale, della legge sul divorzio e sulla maggior età. Da tutto questo sconvolgimento sociale, il cinema non poteva restare immune. Quale miglior occasione cercare di sovvertire gli schemi classici e tentare di sconvolgere la mente dello spettatore con immagini sconcertanti di sangue ed arti amputati?
Sarà un certo Dario Argento ad osare oltre il lecito, con la sua opera prima L’Uccello dalle Piume di Cristallo. Con questo titolo, darà il via alla lunga e fortunata stagione del thriller all’italiana. E’ in questa fase che troviamo le prime pellicole macchiate del colore rosso del sangue e dai primi segni di squartamento mostrati esplicitamente al pubblico. Altri registi contribuiranno ad alimentare la nouvelle vague del giallo a tinte forti, con nomi come Fulci, Lenzi, Martino, ecc., e con titoli come Una Lucertola con la Pelle di Donna, Lo Strano Vizio della Signora Wardh o La Bestia Uccide a Sangue Freddo; sono solo una manciata di titoli tra i tanti che hanno fatto la storia del giallo moderno ed ispirato in seguito registi d’oltremanica come De Palma o Tarantino.
Anche il poliziesco (ribatezzato dalla nostra stampa “poliziottesco”) non resta immune dalla novità e ci mostra immagini molto violente, dove la pietà non ha alcuno scampo, grazie a registi come Stelvio Massi che meglio ha saputo interpretare la variante sul tema. Protagonisti come Maurizio Merli, Franco Nero, Philippe Leroy, Franco Gasparri e Tomas Milian hanno lasciato un’impronta importante, con i loro personaggi un po’ poliziotti e un po’ cowboy, spesso soli contro tutti e contro la stessa legge che devono difendere. Grazie al successo di film come Il Braccio Violento della Legge e Il Giustiziere della Notte, il nostro poliziesco ha percorso un tracciato molto diverso rispetto al passato, in cui l’immagine shock ha preso il sopravvento sulla storia e la realtà è resa nuda e spoglia di ogni concetto perbenista.
Verso la metà dei 70 era nato un piccolo sottogenere che, in quanto a brutalità e scene ripugnanti, non aveva nulla da invidiare: il nazi-erotico. Figlio di pellicole come Salon Kitty di Tinto Brass, di Ilsa, la Belva delle SS di Don Edmonds e di Love Camp 7 di Robert Lee Frost, si ritaglierà il suo spicchio di gloria, grazie all’estrema morbosità e violenza perpetrata ai danni delle vittime. Anche in questo caso troviamo registi ormai avvezzi al salto di genere, che fanno del mestiere del sapersi arrangiare il loro bagaglio principale. La Svastica nel Ventre di Mario Caiano, La Bestia in Calore di Luigi Batzella o Le Lunghe Notti della Gestapo di Fabio De Agostini regalano momenti di forte impatto visivo e di dolore.
In seguito al successo de Lo Squalo di Spielberg e Piranha di Joe Dante, diversi nostri registi hanno trasportato gli orrori tra le acque dei fiumi e mari di mezzo mondo. In questo caso Enzo Castellari si guadagna la palma del migliore, con L’Ultimo Squalo ed Il Cacciatore di Squali. Ovidio Assonitis preferisce dedicarsi alle piovre con il suo Tentacoli e John Old Jr. (al secolo Lamberto Bava) pensa che i mostri marini siano di derivazione militare nel suo Shark, Rosso nell’Oceano. Un branco di piranha fuggiti da un vivaio semina morte in Killer Fish di Antonio Margheriti, mentre Larry Ludman (Fabrizio De Angelis) e Giannetto De Rossi sono gli autori di Killer Crocodile e Killer Crocodile 2.
Anche il sottofilone dei cannibal-movies ha contribuito non poco alla causa del cinema, con immagini ad alto tasso di “gore” ed emoglobina in quantità industriale. Tra tutti, vanno citati Ultimo Mondo Cannibale e Cannibal Holocaust, entrambi diretti da Ruggero Deodato. Queste pellicole devono la loro fama soprattutto alle vere uccisioni di animali. Aldilà di ogni concezione morale, Deodato ha ampliato l’orizzonte del disgusto, raggiungendo livelli toccati raramente in seguito. Altri titoli da ricordare sono Cannibal Ferox e Mangiati Vivi; anche in questo caso la firma è unica e si tratta dell’esperto Umberto Lenzi.
Bisogna rammentare che il cannibal-movie ha radici più profonde, legato ad un genere che ha vissuto un lungo periodo di notorietà a cominciare dagli anni 60 e cioè il mondo-movie. Fautori di questo successo sono stati soprattutto due connazionali, Jacopetti e Prosperi, che con i loro Mondo Cane, Mondo Cane 2 e Africa Addio hanno portato in giro per il mondo la vera crudeltà e la bizzarria umana, senza uso di trucchi o make-up di sorta. È bastata una cinepresa, girare le usanze ed i costumi, le tradizioni, fatti curiosi e tragedie umane di paesi più o meno conosciuti, montarle con un commento fuori campo, una colonna sonora adeguata ed il gioco è fatto. Altri artisti importanti del genere sono stati i fratelli Castiglioni ed Antonio Climati. Queste pellicole hanno generato, negli anni a seguire, molti emuli all’estero; famose sono le serie Guinea Pig e Faces of Death, dove spesso le scene sono ricostruite in studio e spacciate per vere ( da qui la nascita del termine “snuff”, ossia “smaliziato”).
Ed arriviamo alla fine degli anni 70, periodo in cui lo splatter conosce il suo momento migliore. Non è eufemistico affermare che Zombi di George Romero apre la strada a molti registi italiani, ispirati dalle immagini decisamente forti e dagli effetti speciali dell’allora poco conosciuto Tom Savini.
Il primo a raccogliere il segnale lanciato da Romero è stato Lucio Fulci, che con Zombi 2 ha shoccato le platee di mezzo mondo. Sembrerebbe una normale scopiazzatura del capitolo romeriano, ma sarebbe un’etichetta troppo facile da applicare a quest’opera. In realtà si sviluppa in maniera del tutto autonoma e segue maggiormente il filo della tradizione caraibica. Un’altra pellicola da evidenziare di Fulci è L’Aldilà – E tu Vivrai nel Terrore. Ancora zombi, che stavolta tornano a camminare tra i vivi richiamati involontariamente dall’aldilà tramite una delle sue porte (un albergo in Louisiana). In entrambi i film, la crudeltà e la malvagità dei non morti viene mostrata ampiamente attraverso scene di rara intensità.
Da segnalare ancora Black Cat, Quella Villa Accanto al Cimitero e Paura nella Città dei Morti Viventi; ognuno di questi interessanti titoli è ricco di effetti speciali, con sceneggiature tutt’altro che banali.
Un altro regista romano, Joe D’Amato (alias Aristide Massaccesi), ha saputo cogliere il momento giusto per saziare il pubblico con scene di indubbio effetto. La sua pellicola più famosa rimane Antropophagus: un gruppo di amici in vacanza in un’isola greca, fa la sgradita conoscenza di un uomo che ha il vizio di uccidere e divorare parti delle sue vittime. Memorabile la scena in cui il mostro, interpretato da George Eastman (Luigi Montefiori), mangia il feto di un’incredula, e allora sconosciuta, Serena Grandi. Il suo seguito, forse un po’ meno forte dal punto di vista splatter, resta comunque un buon film, dal titolo Rosso Sangue. Degni di nota, sia per i trucchi che per la sua forza d’impatto, sono Buio Omega e Le Notti Erotiche dei Morti Viventi, un riuscito mix tra zombi e sesso esplicito.
Il filone degli zombi-movies pare aver ispirato molti registi italiani, che si sono sbizzarriti, con risultati alterni, a provocare forti emozioni e, soprattutto, a sfruttare il fenomeno in forte ascesa. Alcuni titoli: Zombi Holocaust di Frank Martin (alias Marino Girolami), Virus di Vincent Dawn (Bruno Mattei), Zombi Horror di Andrew White (Andrea Bianchi), Incubo Sulla Città Contaminata di Umberto Lenzi. In tutti i casi si tratta di pellicole dai contenuti artistici medio-bassi, dal budget estremamente limitato, ma dagli effetti e trucchi decisamente oltre la media. Come dimenticare in Zombi Horror la scena in cui Mariangela Giordano subisce il morso ad un seno da parte del figlio zombificato? Oppure in Zombi Holocaust quando uno dei protagonisti viene assalito dagli indigeni, che gli strappano i bulbi oculari e se li mangiano? O infine Margi Newton a cui viene strappata la lingua e fatti saltare gli occhi con una mano che le entra dalla bocca in Virus?
Un capitolo a parte merita lo splendido Zeder di Pupi Avati. Non contiene molte scene splatter o gore, ma la sceneggiatura, il cast e la regia sono di una qualità superiore a molti film americani del genere. Si narra che un certo Paolo Zeder avrebbe scoperto delle strane potenzialità in alcuni terreni, denominati semplicemente “K”; chi viene sepolto in uno di questi è destinato a tornare in vita.
Contemporaneamente agli zombi, nasce un nuovo mostro, grazie all’ingegno di Hans Gieger ed alla regia di Ridley Scott: Alien. Gli emuli italiani sono ad opera di Lewis Coates (Luigi Cozzi) col suo Alien Contamination, a mio parere uno dei migliori titoli nostrani sul genere; anche Sam Cromwell (Ciro Ippolito) vuol dire la sua opinione su possibili invasioni aliene col suo Alien 2 sulla Terra. Diversi anni dopo, ci penserà Anthony Dawson (Antonio Margheriti) a rispolverare il genere con Alien degli Abissi. Da segnalare, per la serie “sequel mai riconosciuti”, un interessante Terminator 2 (Shocking Dark) di Bruno Mattei, infarcito di notevoli effetti speciali.
Parallelamente al successo di film come 1997 Fuga da New York e Mad Max che hanno lanciato il genere post-atomico, il nostro paese ha sfornato titoli molto interessanti. Al top si trova il duo 1990: I Guerrieri del Bronx e Fuga dal Bronx, entrambi diretti da Enzo G. Castellari (Enzo Girolami). Lo stesso regista ha girato I Nuovi Barbari, mentre lo stakanovista Massaccesi, stavolta sotto lo pseudonimo di Kevin Mancuso, ha diretto Endgame e Anno 2020: I Gladiatori del Futuro. Sergio Martino si diletta con 2019: Dopo la Caduta di New York, forse uno dei più interessanti sul genere; anche Fulci si diverte a girare I Guerrieri dell’Anno 2072, mentre è di Bruno Mattei la firma di Rats, Notte di Terrore. In tutti i casi non mancano scene per stomaci forti.
Esauritosi lentamente il filone zombesco, uno sconosciuto regista indipendente americano di nome Sam Raimi trova successo e gloria con un titolo a ridottissimo budget, ma dai grandiosi effetti speciali: La Casa. Anche i nostri registi sembrano sensibili al fenomeno e, dopo l’uscita del sequel La Casa 2, iniziano a girare le loro “case” e affini.
La Casa 3 (Ghosthouse) è del solito Umberto Lenzi, ormai avvezzo al continuo cambio di genere; storia non certo originale, gli attori non sono tra i migliori in circolazione, ma si lascia guardare e, soprattutto, non mancano i momenti gore. Ben altro cast e risultato ha ottenuto La Casa 4 (Witchcraft) di Fabrizio Laurenti, con attori del calibro di Linda Blair e David Hasselhoff. I trucchi sono ottimi e la storia interessante. Purtroppo La Casa 5 (Beyond Darkness) di Claudio Fragasso chiude il ciclo in maniera incolore, sia dal punto di vista della storia, assai confusa, che da quello degli effetti splatter, ridotti all’osso.
Sul genere “dimore maledette” si è cimentato anche Dario Argento, realizzando una trilogia horror con ottimi risultati anche dal lato effettistico. Suspiria è senza dubbio il migliore, ambientato in una scuola di danza a Friburgo in Germania; Inferno fu girato tra Roma e New York, mentre La Terza Madre chiude solo recentemente il cerchio.
Altre pellicole di dimore varie, possedute o meno, sono Amityville Possession di Damiano Damiani, La Villa delle Anime Maledette di Carlo Ausino, Quella Villa in Fondo al Parco di Anthony Ascot. Da ricordare una serie di titoli girati alla fine degli anni 80, su commissione dell’allora Rete Italia del gruppo Mediaset, per un ciclo televisivo horror con argomento le “case”. Purtroppo la presenza di molte scene giudicate “eccessive” dai censori, fece naufragare il progetto e solo in tempi recenti hanno visto la luce in vhs, dopo anni trascorsi in polverosi magazzini. I titoli in questione sono: La Casa del Tempo e La Dolce Casa degli Orrori di Lucio Fulci, La Casa delle Anime Erranti e La Casa del Sortilegio dell’immancabile Umberto Lenzi.
Nella storia del cinema truculento italiano, non vanno dimenticati due registi che si sono imposti all’attenzione del pubblico, anche internazionale, per aver girato film con budget discreti, effetti speciali di notevole spessore e con la produzione di un certo Dario Argento: Lamberto Bava e Michele Soavi. Del primo ricordiamo soprattutto Demoni e Demoni 2, anche se in precedenza si era fatto le ossa con titoli thriller in alcuni casi interessanti. Di Soavi vanno citati La Chiesa e La Setta, dalle storie forse un po’ confuse e pretenziose, ma dall’indubbio shock visivo. Del regista in questione bisogna rammentare il tentativo di recuperare un filone, quello zombesco, con Dellamorte Dellamore. Quello che lega tutti e cinque i film, è la presenza di un giovane truccatore di talento: Sergio Stivaletti. Erede di Giannetto De Rossi, forse il primo vero artista nostrano per quanto riguarda gli effetti speciali, Stivaletti è stato capace di unire la scuola di Carlo Rambaldi a quella del grand guignol.
Gli anni 90 hanno visto il genere splatter perdere via via sempre più spazio nel nostro paese; colpa forse dell’avvento degli effetti grafici computerizzati o forse dello scarso interesse verso il film di genere. Alcuni registi hanno preso strade più adatte alle platee televisive (vedi Lamberto Bava con la serie Fantaghirò o Enzo Castellari col suo Sandokan 2); altri ci hanno lasciato definitivamente, stroncati da malanni fisici: Fulci, Massaccesi e Margheriti; altri ancora hanno preferito ritornare dietro le quinte, magari dando una mano o un consiglio alle nuove leve.
Solo qualche temerario ha avuto l’audacia di proseguire per la strada tracciata dai maestri (tra questi va segnalato Roger Fratter), mentre ad altri il coraggio è mancato per continuare ad osare.
Speciale a cura di Maxena