Intervista a Roberto Paparella, criminologo, collezionista e artista italiano, nonché creatore di una disciplina ibrida che egli stesso ha voluto battezzare “arte criminologica”. Il Paparella ci ha fornito delle esaurienti risposte in merito alla sua passione per la criminologia che, nel tempo, lo ha portato a intraprendere la strada del collezionismo e dell’arte legata al crimine a cui ha contribuito con la creazione di opere iperrealiste realizzate in cera e in resina.
Il suo Museo di Arte Criminologica (sito in Olevano di Lomellina in provincia di Pavia) ospita al suo interno strumenti di tortura e per elettroshock, armi, fotografie, libri, corpi mummificati, cimeli vari e opere d’arte che testimoniano eventi nefasti i cui protagonisti sono carnefici e vittime. La sua passione e la sua arte si concentrano maggiormente sulla vittima, molto spesso dimenticata e che, inserita in un contesto da brivido come il museo di Paparella, inculca un sentimento di pietà negli spettatori.
– Ciao Roberto, grazie per averci concesso questa intervista. Parlaci un po’ di te e della tua passione per la criminologia.
R.P.: Ho studiato criminologia a Padova e da molti anni lavoro come responsabile di una comunità di minori che provengono dall’area penale. Questo interesse per il collezionismo criminologico lo coltivo da più di vent’anni, e, in gran parte, è stato ispirato proprio dalle chiacchierate che si facevano con i ragazzi della comunità, dove venivano affrontati temi quali l’educazione alla legalità e la delinquenza nella storia. La passione per la criminologia e l’antiquariato hanno fatto tutto il resto.
Frequentando vari mercatini ho trovato i primi oggetti e materiale cartaceo e da lì, probabilmente, è iniziata la collezione. Negli anni gli oggetti si accumulavano e notavo un certo interesse delle persone per questi manufatti.
Sentivo che ogni oggetto raccontava una storia di sofferenza e disagio e, contemporaneamente, venivano alla luce fatti di cronaca nera italiana che ormai erano entrati nel dimenticatoio.
Ho pensato quindi di ricostruire anche i personaggi protagonisti delle storie con tecniche di iperrealismo, basandomi su misurazioni antropometriche e, piano piano, questi corpi e queste storie riprendevano vita.
Da qui è nata l’ARTE CRIMINOLOGICA ovvero l’intenzione, attraverso l’arte e il collezionismo, di comunicare il crimine. Questo comunicare non intende dare delle risposte ad un argomento così vasto, sono convinto che se qualcuno si fa le domande giuste le risposte vengono in automatico.
– Da criminologo, chi sono secondo te i più efferati serial killer di tutti i tempi? C’è qualche film basato su fatti realmente accaduti che è fedele alle vicende di cronaca? Quale consiglieresti?
R.P.: Se devo pensare al più efferato serial killer, mi viene in mente il caso del mostro di Firenze ma la storia che più mi ha affascinato è la storia di Rina Fort “ La belva di San Gregorio”.
Anche se da un punto di vista della ricostruzione degli avvenimenti non si accostano fedelmente alla realtà, i due film che consiglierei sono: “Gran bollito” di Mauro Bolognini perché rende bene l’idea di follia di Leonarda Cianciulli e “Psyco”, magistralmente diretto da Alfred Hitchcock e ispirato alla figura di Ed Gein.
– Il tuo interesse per il crimine ti ha portato a collezionare nel tempo oggetti legati a questo mondo (strumenti di tortura, armi, fotografie, libri e opere d’arte). Parlaci del tuo Museo di Arte Criminologica, in generale.
R.P.: Nel percorso che si fa nella mia esposizione, che attualmente è composta da 530 pezzi (dal ‘500 ai giorni nostri), il visitatore può incontrare vittime e carnefici e sentirsi raccontare dai protagonisti le loro storie, attraverso un’esperienza visiva e sensoriale degli oggetti. Con occhi nuovi non è più un’esperienza macabra ma il toccare una realtà del nostro passato che abbiamo dimenticato e che ci fa paura. Siamo in una società dove i media, rispetto a questo argomento, danno tutti delle risposte senza capire qual è la domanda.
– Quale fetta di pubblico attira? Cosa trasmette questo mondo di dolore e di follia?
R.P.: Non penso si possa delineare un target di pubblico, né per età né per estrazione culturale ma, più in generale, penso che il fascino dell’ignoto e la curiosità di scoprire cosa sta dietro all’efferatezza della mente umana siano gli elementi che attirano i visitatori.
– Realizzi anche delle opere iperrealiste in cera e in resina riproducendo fedelmente le vittime dei carnefici e che, tra l’altro, sono esposte nel tuo museo. A quando risale la prima opera e qual è la più recente?
R.P.: La prima ricostruzione risale al 1998, Vincenzo Verzeni, il “vampiro della bergamasca”, un caso studiato da Cesare Lombroso e l’ultima è una scena che fa riferimento ai delitti delle “bestie di satana”.
– Cosa si prova nel creare il corpo straziato di una giovane donna? Cosa vuoi trasmettere con le tue opere? Com’è vista la vittima con gli occhi di un criminologo?
R.P.: Il filo conduttore dell’arte criminologica è la vittima di cui molto spesso ci si dimentica. È molto più facile ricordarsi del carnefice ma penso che le vittime abbiano ancora qualcosa da raccontarci.
La mia finalità è di dare voce alle vittime attraverso un’esperienza artistica provocando sensazioni che resteranno marcate rispetto a semplici e vuote parole. Vedere, toccare e ascoltare questi oggetti stimola in noi delle sensazioni che ci permettono di porci delle domande.
– Qual è la vittima la cui storia ti ha maggiormente colpito? Perché?
R.P.: Le vittime le cui storie mi hanno maggiormente colpito sono Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. Sono due ragazzi ritrovati nelle campagne fiorentine ne 1974 che fanno parte di una serie di delitti attribuiti al “Mostro di Firenze” e, quello che mi ha turbato di più è stato l’accanimento verso la povera Stefania.
– La tua passione per questo realismo macabro si rispecchia anche in altri contesti artistici (cinema, letteratura…)?
R.P.: Non ho una particolare predilezione per il cinema ma la letteratura, oltre che ad essere un piacevole passatempo, è spesso fonte di ispirazione e un valido strumento di ricerca.
– Un grazie a Roberto Paparella da DarkVeins.