Nel ricco panorama cinematografico horror italiano Ivan Zuccon è sicuramente un nome di spicco. DarkVeins lo ha intervistato per conoscere i suoi progetti futuri e per fargli qualche domanda sul suo ultimo film Wrath of the Crows che vedrà la luce nei cinema italiani a ottobre.
L: Chi è Ivan Zuccon? Come ti descriveresti?
I: Tra tutte questa è la domanda più difficile. E’ sempre arduo dare una descrizione esaustiva di se stessi. Di sicuro sono testardo, se mi metto in testa una cosa non mollo fino a quando non la ottengo, questa forse una delle ragioni per le quali ancora non ho smesso di fare cinema, non ho ancora raggiunto gli obiettivi che mi sono prefissato.
L: Perché hai scelto la strada del cinema? Com’è avvenuto?
I: Certi eventi nella vita sono dettati dal caso, altri invece frutto di scelte precise e consapevoli. L’ingresso del cinema nella mia vita è frutto sia del caso che di una scelta ponderata. Al principio però c’era dell’altro. Inizialmente la musica, sono stato un musicista determinato a sondare nuove frontiere musicali, e con la mia band, gli Ipnosi, ho realizzato prodotti piuttosto interessanti. Poi mi sono interessato al disegno, fumetti per la precisione, ricordo che da ragazzo il mio desiderio più grande era diventare disegnatore di Alan Ford. E’ stata la scoperta del cinema horror a far nascere in me il desiderio di cimentarmi con la Settima Arte. L’horror non lo avevo mai considerato molto, anzi, ne ero addirittura spaventato. Il fatto è che una volta vinta la paura, ho intuito quanta potenza si potesse nascondere dietro questo genere cinematografico e quanta libertà espressiva si potesse ottenere una volta superati i limiti dei soliti cliché.
L: A quando risale il tuo primo corto? Che ricordi hai del tuo primo lavoro e cosa ti ha spinto a proseguire per questa strada?
I: Il mio primo cortometraggio “L’Amico di nessuno” è del 1995. Una storia adolescenziale molto intensa che all’epoca vinse moltissimi premi. Girato in bianco e nero il film racconta di un ragazzo che vuole uccidersi gettandosi da una torre. Una visita inaspettata cercherà però di farlo desistere. Ho bellissimi ricordi di quel primo piccolo set. Era un gelido inverno, la location straordinaria, gli attori bravi e volenterosi. Una prima esperienza che diede tante gratificazioni.
L: Perché hai scelto la branca horror del cinema? Che rapporto hai con questo genere?
I: Ritengo l’horror un genere molto importante con il quale si possono approfondire molte tematiche interessanti e affrontare alcuni tabù senza troppi timori. Il mio rapporto con questo genere è di odio-amore, come del resto è il rapporto che ho con il cinema stesso. Al mio settimo lungometraggio horror inizio a sentire un profondo desiderio di cambiamento, una voglia di cambiare strada, di affrontare i temi che mi stanno a cuore attraverso generi diversi, mediante l’utilizzo di nuove cifre stilistiche, utilizzando anche linguaggi diversi. Mi piace dire, anche a me stesso, che l’horror rappresenta il mio punto di partenza ma che probabilmente non sarà il mio punto di arrivo. Ciò non significa che non girerò più horror, vuol solo dire che cercherò anche di realizzare progetti alternativi ad esso. E’ importante cambiare, non ripetersi, per crescere, per migliorarsi.
L: Come ci si sente ad essere considerati uno dei maggiori esponenti del cinema indipendente italiano?
I: Significa semplicemente che qualcosa di buono dal 2000 ad oggi sono stato in grado di realizzarlo. E questo è gratificante. Ed è ancor più interessante tutto ciò perché ho sempre cercato di raccontare le mie ossessioni, di portare avanti un mio discorso personale senza mai troppo pensare ai trend, alle mode o a seguire i filoni più di successo in un dato momento. Per certi versi mi sono trovato ad anticipare molte mode, come accadde con Bad Brains, che anticipò il “torture porn” che ebbe poi molto successo con Saw e Hostel. Anticipai il filone dell’horror mistico religioso con NyMpha, genere che in Francia divenne molto alla moda pochi anni dopo. Questo succede perché a volte io sono un po’ un indagatore, mi piace scrutare l’animo umano e raccontarne il lato oscuro. Così facendo mi sono ritrovato nella veste scomoda di precursore, colui che apre le porte, lasciando che i benefici vadano agli altri. Ma va bene così, non posso cambiare quella che è la mia natura.
L: A cosa ti ispiri generalmente per i tuoi film? Quali sono i registi di genere che ti hanno influenzato maggiormente?
I: Spesso l’idea su cui fa perno tutto il film parte da me, anche se scrivo raramente. Di solito mi limito a gettare su carta brevi soggetti che poi passo ai miei sceneggiatori. Le idee sovente mi vengono in sogno, è raro che tragga ispirazione da qualche fatto di cronaca o da eventi reali. Trovo molto più stimolante il mondo onirico. Proprio per questo tra i miei registi preferiti annovero senz’altro David Lynch, uno che non ha mai avuto paura di raccontare le sue ossessioni e che si è sempre rifiutato di spiegarle, lasciando che sia lo spettatore a trarre le proprie conclusioni dandone una interpretazione soggettiva.
L: Alcune delle tue opere sono tratte dai racconti di Howard Phillips Lovecraft. Perché? Una tua opinione su questo grandissimo scrittore di letteratura horror? Quali sono le altre sue opere che ti piacerebbe trasporre su pellicola?
I: L’amore per Lovecraft è nato per caso. Cercavo idee per un film è l’occhio mi è caduto su alcuni suoi libri. Leggendo i suoi racconti si è spalancato un mondo nuovo ai miei occhi, un mondo fatto di elementi terribili e allo stesso tempo affascinanti. La creatività di questo autore sembra illimitata, l’orrore cosmico da lui raccontato è fonte di grande ispirazione per me. Amo tutto ciò che ha scritto, dai primissimi racconti d’imitazione a Poe alle sue più grandi creazioni cosmiche, così ambiziose e spesso riuscite da togliere il fiato. Financo le collaborazioni e gli scritti su commissione per conto di altri scrittori a corto di idee e infine le lettere, meravigliose e ricche di riflessioni che potrebbero essere la base per un interessante film biografico che un giorno spero di poter realizzare.
L: L’altrove (2000) è il tuo primo lungometraggio. Puoi parlarcene?
I: L’Altrove è un film del 2000, ma l’idea nasce un paio d’anni prima. Nel 1998 realizzo un corto dal medesimo titolo ispirato agli scritti di H.P.Lovecraft. Il film durava 32 minuti ed è una specie di patchwork lovecraftiano, che riassume molte delle atmosfere dello scrittore di Providence ed è ricco di citazioni tratte dai suoi racconti, pur non essendo basato ufficialmente su nessuno di essi. Ricordo che fu in quel periodo che mi ritrovai a leggere Lovecraft e rimasi rapito dalla sua prosa così densa, dal suo maniacale studio delle atmosfere, e fu proprio questo “mood” alieno a farmi sentire in sintonia con questo scrittore. Decisi che la materia era perfetta per un film horror d’atmosfera e mi misi subito al lavoro prendendo stralci di idee un po’ da tutti i suoi scritti, in particolare quelli inerenti alla sua invenzione più celebre: il terribile Necronomicon. Terminata la realizzazione del cortometraggio lo feci vedere ad alcune case di produzione americane e la Prescription Films dell’attrice Tiffany Shepis mi commissionò l’allungamento del film per portarlo ad una durata di 80 minuti. Nel 1999 tornammo sul set per girare le scene aggiuntive e nel 2000 eravamo al Market di Cannes a vendere i diritti del film. Fu un momento esaltante della mia carriera. Il film, pur nella sua non linearità e nel suo essere un po’ acerbo come spesso lo sono tutte le opere prime, andò molto bene. Ci sono anche molte citazioni a Barker, questo scrittore-regista ha influenzato molto l’immaginario orrorifico della fine degli anni ’90, e i suoi racconti di carne e sangue insieme al mondo cosmico di Lovecraft hanno profondamente segnato il mio modo di raccontare per immagini.
L: A cosa ti sei ispirato per Maelstrom – Il figlio dell’altrove (2001) e La casa sfuggita (2003)?
I: Si dice che sbagliando si impara, ed è così. Maelstrom – Il figlio dell’altrove un film molto importante per me proprio per questo. Ho dovuto fare questo film per commettere gli errori che poi in futuro non avrei mai più commesso. Visivamente è potente, a tratti visionario e con intuizioni interessanti, ma resta farragginoso nella trama e spesso inciampa girando a vuoto su se stesso. La colpa è solo mia, ma dovevo fare tutti questi errori per capire dove doveva indirizzarsi il mio cinema, e così è stato. I film successivi sono molto coerenti e sono film di cui vado fiero. Di fatto se prendi tutte le scene, singolarmente, sono tutte molto efficaci. Ma sembrano non amalgamarsi col il film nel suo complesso. La scena della crocifissione per esempio è molto efficace, è stata faticosa da realizzare, come lo è stato girare l’intero film. Girato quasi tutto in esterni con escursioni termiche pazzesche, si passava dal caldo torrido di giorno al freddo la notte e con tutti i pesanti mezzi tecnici da spostare continuamente perché in “Maelstrom”, essendo un viaggio itinerante, non si girava mai nello stesso posto. Una prova fisica notevole di cui però ho ricordi memorabili.
La Casa Sfuggita invece è un film di cui vado particolarmente fiero. Deciso di dedicare tutto me stesso alla formulazione di un cinema personale, mi getto in questa idea di realizzare un film a episodi dove però i passaggi temporali sono legati tra loro indissolubilmente, fondendo e comprimendo lo spazio-tempo, trasformando le singole storie in tasselli decostruiti di un puzzle che si compone solo alla fine. Un film complesso, partito come un film a episodi che invece finisce per essere un mosaico dell’orrore dove la vera protagonista è la casa stessa. Il film piacque così tanto alla comunità internazionale che è stato distribuito in 30 paesi nel mondo.
L: Perché il cannibalismo in Bad Brains (2006)?
I: Sinceramente non ricordo ci siano scene di cannibalismo in Bad Brains. Forse ti riferisci alla scena dell’occhio, che comunque è un episodio sporadico. I protagonisti del film non sono cannibali, sono dei ricercatori. Cercano qualcosa di speciale all’interno dei corpi delle loro vittime ma non se ne cibano affatto. Nel film il rapporto tra i due protagonisti conduce alla soluzione del mistero portandoci in un terreno dai contorni soprannaturali dove tutto si confonde lasciando una sensazione di enigmatica incompiutezza e di geometrica incertezza. E’ un film molto duro, forse non è nemmeno corretto definirlo un horror, almeno in senso tradizionale, è più un feroce dramma, una malata storia d’amore intrisa di sangue e follia.
L: In NyMpha (2007), suore di clausura, Convento e dolore sono gli elementi principali. Perché il film verte sulla sofferenza dolore? Il film si rifà ad un’opera in particolare della nunspolitation?
I: Non mi sono ispirato a nulla di preesistente per questo film. E’ pur vero che ci possono essere rimandi ad altre opere o che il film rientra nel subgenere della nunsploitation, ma in verità il film è molto originale, specialmente nel suo concept. La sceneggiatura è tratta da un mio vecchio racconto dal titolo “Il Nuovo Ordine”. Il film si concentra sul concetto di “spoliazione”. Molti ordini religiosi richiedono infatti che per avvicinarsi a Dio sia necessario privarsi di tutti i beni materiali, ebbene nel film questo concetto viene in qualche modo estremizzato, concependo la spoliazione come un privarsi non solo dei beni materiali ma anche dei propri sensi.
L: In Colour from the Dark (2008) ti sei avvalso di Debbie Rochon, attrice nota agli amanti della Troma e che tra l’altro hai nuovamente ingaggiato per Wrath of the Crows. Com’è nata la collaborazione con la Rochon? Perché hai scelto lei per questo film?
I: Debbie Rochon è forse una delle persone più intelligenti, più profonde e più ricche di talento con cui ho lavorato. E’ facile sminuire il suo lavoro menzionando i suoi esordi con la Troma, in verità è un’attrice di altissimo livello, capace di interpretare qualsiasi ruolo con una intensità senza pari. E’ semplice capire perché ho voluto lei in ben due film, perché è brava, perché ad ogni ciak ti regala qualcosa di unico ed irripetibile. Negli anni siamo diventati ottimi amici e ci lega una stima e un grande affetto reciproco. Questa donna ha avuto una vita difficilissima, la sua storia è così ricca di eventi e di tormenti che meriterebbe di essere raccontata in un film, un film che spero un giorno di poter dirigere.
L: Wrath of the Crows (2013) è il tuo nuovo film che è stato presentato in anteprima mondiale a Hollywood. Da dove nasce l’idea di basare il film sulla punizione dei peccati? Perché i corvi?
I: Anche in questo caso il germe del film è un mio breve soggetto scritto durante una notte insonne. Queste dodici paginette rimasero chiuse in un cassetto molti anni. Poi, un po’ per caso e un po’ per gioco, le feci leggere al mio attuale sceneggiatore, il bravo Gerardo Di Filippo, che disse che era una storia molto bella e che valeva la pena di lavorarci sopra. Decisi di fidarmi del suo giudizio e così cominciammo il lungo lavoro di stesura dello script. Il concetto di peccato e di espiazione è insito nella nostra cultura a base di cattolicesimo e puritanesimo più o meno esplicito. Ma ci sono peccati per i quali è giusto che si paghi un prezzo, ed è su questo che verte il film. L’uomo è capace di macchiarsi dei peggiori dei crimini e può compiere nefandezze inenarrabili, per tutto ciò io e il mio sceneggiatore abbiamo creato un luogo (o meglio un non-luogo) dove il grado di espiazione è calcolato in base alla gravità dei fatti commessi, e dove la più leggera della pena è così terribile da far accapponare la pelle. I corvi vengono usati come simbolo del male, sono le anime nere che albergano all’interno dell’uomo.
L: Il tuo nuovo lavoro rappresenta un cambio radicale rispetto alle precedenti opere. Cosa è cambiato? Perché?
I: Stilisticamente sono cambiato molto. Concettualmente meno. Ho ripreso tutti i temi a me cari e li ho messi in questo film. Ho però cercato di rinnovare il mio stile registico perché ero stanco di ripetermi. Ho cambiato modo di girare, cercando di essere più istintivo e meno rigido a regole e dettami classici. Ho cambiato modo di illuminare la scena proprio in funzione di questa necessità di libertà espressiva. Ho cambiato modo di dirigere gli attori, cercando di stare tra loro il più possibile, piazzando la cinepresa in mezzo a loro, senza troppe distanze, senza filtri, per ottenere una linea diretta ancor più efficace e una recitazione più istintiva e diretta.
L: Sempre in questo film, l’idea di collegare l’anima al corpo attraverso il cordone ombelicale è eccezionale. A cosa ti sei ispirato per questa magnifica sequenza?
I: Nella prima stesura della sceneggiatura questa scena non era così, c’erano degli insetti e dei corvi racchiusi in ampolle di vetro. Il tutto però mi ricordava troppo il genere fantasy che io onestamente non amo molto. La scena delle anime nere legate con il cordone ombelicale è stata presa di pari passo da un’altra sceneggiatura che stavo scrivendo io stesso. Il contesto era completamente diverso ma facendo piccoli aggiustamenti siamo riusciti a far calzare tutto con precisione. Il senso è proprio quello della purificazione, di liberarsi del male, il poter vedere il proprio io negativo fuori dal corpo.
L: Parliamo un po’ della distribuzione di Wrath of the Crows. Possiamo aspettarci una proiezione cinematografica? Ci sono novità in merito?
I: Certamente. Il film uscirà nei cinema italiani a fine ottobre per Halloween. Il circuito sarà quello delle multisale quindi è un deciso passo avanti rispetto a Colour From the Dark che ha avuto una distribuzione limitata a poche sale d’essai.
L: Com’è cambiato il tuo stile registico nel corso degli anni?
I: E’ cambiato moltissimo e allo stesso tempo è rimasto uguale. Tecnicamente sono molto più preparato. Anni di esperienza ti insegnano molto e ti garantiscono quella sicurezza di esecuzione che è importantissima specialmente quando si gira in ristrettezze di budget. Però lo spirito è sempre lo stesso. L’idea di arrivare sul set a mente sgombra, senza sovrastrutture, senza storyboard senza l’ausilio di alcun tipo di previsualizzazione, lasciandomi ispirare dalla scenografia, dagli attori e dall’istinto, è sempre il fulcro centrale del mio modo di approcciarmi alla regia. Mi piace decidere molte delle inquadrature direttamente sul set, preferisco studiare i movimenti degli attori durante le prove e poi stabilire quali movimenti di macchina inserire. Insomma il film lo partorisco in modo istintivo. Troverei tutto molto noioso dovermi attenere scrupolosamente a schemi prestabiliti a tavolino. Il lavoro creativo è fatto anche di idee che arrivano sul momento e non solo dalla pianificazione. E’ chiaro che il film è già tutto nella mia testa, e proprio per questo non ho bisogno di schemi e disegnini. Seguo il flusso delle mie idee e mi lascio ispirare.
L: Con quale nuova opera cinematografica Ivan Zuccon sorprenderà i suoi fan?
I: Chi può dirlo. Cerco di sorprendere il pubblico con ogni mio nuovo lavoro, cercando di non ripetermi e di raccontare storie inusuali e da un punto di vista che sia il più originale possibile. I progetti futuri sono tutti indirizzati verso il cambiamento, anche di genere. Non credo continuerò a fare film horror all’infinito, c’è in me il desidero profondo di percorrere strade nuove.
L: Come vengono considerate le tue opere in Italia? Come sono state accolte invece all’estero?
I: All’inizio qui in Italia è stata dura, nessuno sembrava volesse minimamente interessarsi al mio cinema. All’estero, dagli USA alla Germania, dalla Francia al Giappone e così via, i miei film hanno ottenuto riscontri più che buoni, ottimi in alcuni casi, come ad esempio The Shunned House e NyMpha che sono due film che sono andati molto bene e mi hanno dato grandissime gratificazioni. La situazione italiana sta lentamente migliorando, alcuni dei miei film si riescono a trovare, altri sono usciti o usciranno al cinema, insomma come al solito arriviamo per ultimi ma in qualche modo la situazione si sta normalizzando.
L: Cosa ci puoi rivelare di Sick Sisters? Quali sono i tuoi progetti futuri?
I: Di Sick Sisters non posso rivelare molto. E’ un film che verrà prodotto e girato negli USA, simile per tematiche ed ambientazioni a Bad Brains e racconta le folle gesta di due donne serial killer unite da un legame simbiotico. Altri progetti ce ne sono, parecchi, tutti molto interessanti, un thriller dal titolo Night to Night che mi è stato proposto da una casa di produzione americana, un altro film americano sulla possessione demoniaca e così via. Molte delle proposte in effetti stanno arrivando da oltreoceano… si vedrà.
L: Un’opinione su questa intervista?
I: Fantastica!
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I: Buona lettura!
L: Grazie Ivan!