Intervista a Edo Tagliavini, regista italiano attivo nel mondo del cinema indipendente già negli anni ’90. Tagliavini ci parla in generale delle sue prime opere, soffermandosi su Bloodline, fino ai cortometraggi recenti che fanno parte di film horror collettivi: La Verità sul Caso Valdemar (P.O.E.: Poetry of Eerie), Perdita di fiato (P.O.E.: Project of Evil), Assuefazione (17 a mezzanotte). Non mancano anticipazioni sulla trama del suo nuovissimo cortometraggio Cuore rivelatore che rientra nell’horror antologico Sangue Misto.
L: Ciao Edo, parlaci di te, come ti descriveresti?
E: Mmh… gli “autoritratti” son sempre difficili ed imbarazzanti, anche perché molte volte l’immaginario che abbiamo di noi è diverso da quello che recepiscono gli altri… allora provando a giocare con quest’immagine allo specchio, ti posso dire che se fossi un cartone animato sarei un mobile suite Gundam guidato da Lupen III, musicalmente facciamo un cross over fra “American Jesus” dei BadReligion e spruzzate ambient alla Vangelis.
Se fossi un libro probabilmente starei sotto a qualche tavolo per tener dritto il peso sbilanciato da una gamba più corta, ma fra le pagine ci leggeresti Kerouak e il suo “On The Road”… e se saltassimo nel regno animale, diciamo che potrei essere un Lupo: ma questo è quello che vedo io, magari in realtà sono un Gigi La Trottola che balla i Cramps, mentre legge Topolino e porta a passeggio una rana al guinzaglio…
L: Quando ti sei avvicinato al cinema e perché?
E: A 19 anni vinsi il primo campionato nazionale di Street Skate, e con il milioncino guadagnato e il regalo di diploma dei miei genitori, son partito in solitaria per tre mesi a fare il giro del mondo… poi dopo qualche esame al Dams, riparto un paio di anni dopo per il Messico, cinque mesi, sempre da solo e dalla somma di queste due esperienze (più altri sei mesi in Messico/Guatemala/Belize l’anno successivo), mi è venuta la voglia di raccontare quello che avevo visto, sentito e vissuto, e provare a far vedere sotto un’altra prospettiva i posti che avevo visitato: la più forte e immediata forma per far ciò sarebbe stata la musica, ma non avendo mai provato a suonare (ahimè) nessuno strumento e avendo una voce alquanto stonata, la via del rock l’ho scartata a priori… la seconda via da seguire è inevitabilmente il cinema, e complice un mio amico di Ravenna (Gerardo Lamattina con il quale ho realizzato alcuni dei miei ultimi lavori, “Valdemar” e “Assuefazione”) con il quale lavoravo a performance live nelle discoteche quali il Cocoricò, ho realizzato nel ’95 un primo corto “Coop Karrel”, seguito da “Matrisoka” e “Il Brufolo”, con il quale vinsi “150 sec. a tema fisso” a Bellaria nel ’97… insomma, per farla breve: inseminato il germe in corpo, la fortuna di entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia grazie anche al congedo per depressione dal servizio militare ha fatto il resto… e in pitch povero, mi avvicino al cinema perché ho voglia di raccontare storie.
L: Presentaci a grandi linee le tue opere che precedono Bloodline.
E: Per rispondere a questa domanda, permettimi di fare un piccolo salto dentro al primo anno di DAMS a Bologna: l’argomento del corso era il grande Hitchcock, e testi correlati i “Cahier duCinéma”: in essi si parlava, nel descrivere Hitchcock, della “PolitiquedesAuteurs”, “ettichetta” applicabile a quei registi che non si specializzano in un solo genere, ma saltano da uno all’altro, lasciando però impressi nei loro film lo stile, il loro stile.
Ecco, forse presuntuosamente mi piace sentirmi dentro questa descrizione, perché (e rispondo alla tua domanda) i miei lavori passati variano dall’action/fantascientifico “Tao” (mio saggio di Diploma), al grottesco e surreale “Uomo più buono del mondo” (finalista nel 2004 ai Nastri d’Argento), passando dal drammatico “Il Campione”, alle commedia “La Babysitter” e “No Smoking Company” (Globo d’Oro nel 2007), al noir “Alchimia del Gusto”, lo sperimentale “Gas Station El Coyote” (vincitore nel 2009 del Mystfest)… il buffo è che son sempre stato “identificato” come regista horror, pur come si può vedere non avessi mai fatto horror, solo perché al cinema i film “deppaura” mi piacciono molto…
Diciamo che quando mi è stato proposto “Bloodline” ero ancora “vergine”.
L: Molti corti che hai realizzato non sono di genere. Quando hai deciso di intraprendere la strada dell’horror?
E: Ho anticipato la risposta… per aggiungere una piccola cosa, diciamo che l’horror mi ha sempre divertito… cresco con Raimi e Jackson prima maniera, per passare a Cronenberg, Romero e Carpenter, Cameron ma avendo come riferimento “umano” il grande Herzog… il primo horror mi è stato proposto, e anche se le premesse di “Bloodline” avevano tante insidie e rischi, accettai la sfida, forse soprattutto anche perché mi era saltato un film con Enzo Decaro, il seguito ”virtuale” del cortometraggio fatto assieme (“No Smoking Company), che era una bella commedia surreale sul nord/sud europeo (Italia vs. Finlandia).
Ma vedo che la domanda seguente è proprio su quest’argomento, quindi salto alle righe successive…
L: Come nasce e si sviluppa Bloodline? Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato nel dirigerlo rispetto a quelle che si hanno per la realizzazione di un cortometraggio? Quali sono state le tue più grandi soddisfazioni nell’aver diretto questo film?
E: Diciamo che io salgo su Bloodline a treno già semicomposto e pronto sui binari: esistevano due stesure, una scritta dal produttore Virgilio Olivari, e una seconda arricchita da Tentori-Lizzani: quest’ultima era molto divertente, con una seconda parte tutta zombi e massacri ma, ahimé, i soldi a disposizione non ne avrebbero permesso la resa… a cifre infatti io ho pianificato il film facendo riferimento a 50.000 euro, paghe e vitto/alloggio per tre settimane a Nettuno (location del film) incluse: a conti fatti mi son ritrovato a preparare un film con meno di 10.000 euro.
Comunque, per due mesi ho collaborato con l’altro produttore (Mario Calamita) e il loro direttore artistico (TaiyoYamanuchi) a riscrivere la sceneggiatura, arrivando a ben 12 riscritture: la versione finale è quella che abbiamo portato sul set, a fine gennaio 2010, mentre nel frattempo si era tirato indietro il direttore della fotografia con il quale avevo preparato il film e ragionato il parco lampade (per divergenze con la produzione), sostituito dalla bravissima Marina Kissopoulos che di fatto si è ritrovata due giorni prima delle riprese senza saper nulla della storia, delle mie idee di regia, del parco lampade ereditato e dell’utilizzo della Canon 7D, macchina che avevamo scelto di usare (prima volta in Italia per un lungometraggio) per un giusto compromesso qualità/costi: risultato, ogni mattina, mentre facevamo colazione. Pianificavamo il decoupage (la messa in scena dei punti macchina) e il taglio delle inquadrature, giorno per giorno…
Poco prima di girare sono riuscito anche a portar dentro alla troupe alcuni dei miei “fidati”, come il bravissimo Paolo Dore (scenografo) e la bravissima Francesca Faiella (la protagonista)…
Partono le riprese, quattro settimane di tour de force, subito sfiancate da un cambio in corsa dovuto a ritardi nel reparto effetti speciali: a metà della prima settimana ci arrivano infatti i “props” per il making del “cattivo” e sembrano giochi di carnevale prese alla Upim… è una cosa normale che si vedano prototipi che poi verranno elaborati fino a diventare quello che si è scritto sulla carta, ma di norma ciò non dovrebbe avvenire a pochi giorni dalle riprese: così per sicurezza, capovolgiamo tutto il piano di regia, portando le scene “cover set” (quelle da girare al coperto e che di norma si tengono per ultime perché indifferenti al buono o al cattivo tempo) all’inizio e spostando le scene con il Chirurgo alla fine… questo ha comportato anche lo slittamento delle scene girate in cucina, per me le più difficili perché con tutti gli attori in campo, e soprattutto perché molti di loro non li conoscevo bene e non sapevo fin dove avrei potuto “spingerli”… da lì si sono iniziati ad accumulare ritardi, di norma un’ora oltre le dieci ore standard quasi tutte le sere, fino alla scena finale per la quale siamo andati ben quattro ore oltre il normale: per questo quindi ringrazio pubblicamente tutta la troupe per l’impegno, la disponibilità e la professionalità dimostrata.
Alla fine abbiamo chiuso tutto tranne la scena che preferivo, ma che a causa delle piogge, arrivate come da copione Murphy nei giorni finali (quelli del cover set iniziale), mi hanno impedito forza maggiore di girare: era la resa dei conti fra la protagonista e il Chirurgo che, trovandola nascosta in una giostra dei cavalli elettrizzata, l’azionava nel tentativo di portarla allo scoperto, mentre le snocciolava il famoso “spiegone”, che invece ho dovuto reinventare seduta stante mentre giravamo l’ultimo giorno, portando decisamente un deficit alla comprensione di alcune cose.
Altra scena tagliata, per la quale ho insistito fino all’ultimo in sceneggiatura, era lo scoppio delle auto parcheggiate in modo da non poterli far scappare: era in fondo semplice… bastava nella scena di loro in camera sentire off una forte esplosione, magari “detonare” il vetro della finestra, loro escono veloci all’aperto e trovano due auto (carcasse qualunque prese da uno sfascio per poche centinaia di euro) in fiamme… vabbé, la prossima volta!
Riguardo la seconda parte della domanda, devo dire di non aver avuto difficoltà nel passare da un cortometraggio al lungo, se non le volte nelle quali una stessa scena (sempre per cause “piovose”) veniva ripresa a distanza di giorni… ma credo che nell’insieme del film questo non si noti.
Quanto alle soddisfazioni, diciamo che l’Italia è stata molto avara, anche perché tante volte chi scrive le critiche lo fa con un’arroganza e violenza verbale veramente fuori luogo, come se le colpe del film fossero state volute e premeditate dal regista, senza avere invece il senso delle difficoltà che si incontrano nel realizzare un film… non dico con questo che si debbano esaltare tutte le produzioni indie, ma c’è critica costruttiva e critica da demente celebroleso, dove chi scrive è a mio avviso solo uno stitico con un forte complesso d’inferiorità.
Tolto questo sassolino, la prima persona ad avermi sostenuto e dato forza è stato un nome noto nell’ambiente, il grande Alex Argentiano, che ringrazio per la stima… poi arrivano le critiche di fanzine e blog esteri, e ho iniziato a ritrovare conforto: sia chiaro infatti che io sono il primo a sapere i limiti e vedere i difetti del film, ma consapevole anche che se visto con un’ottica di divertimento, il film intrattiene.
Esteticamente invece, la parte che preferisco, è quella finale, dove l’ottimo lavoro fotografico di Marina e la preparazione del set di Paolo hanno reso l’efficacia delle parole scritte sulla carta.
Però se devo essere sincero, non vedo l’ora di partire con un nuovo progetto e mettermi alla spalle “Bloodline”, non perché lo rinnego (avrei altrimenti firmato con un altro nome), ma perché è poco rappresentativo del mio stile, e la mia zampata da PolitiquedesAuteurs si vede in poche scene (il sogno fra tutte e il primo incontro col fantasma nel bagno dove le sette inquadrature finali sono un piccolo omaggio hitchcocchiano).
L: Da dove trai ispirazione per le tue opere? Quanto ti influenza la realtà?
E: Forse la domanda prima l’ho un pochino dilatata: qui sarò rapido… ogni giorno veniamo bombardati da immagini, notizie, facce, suoni parole… le storie nascono così, dalla frankensteinizzazione della quotidianità, infarcite sempre da una bella dose surreale e ironica.
Per esempio, “Assuefazione” il mio episodio per il film corale “17 a mezzanotte”, l’ho pensata mentre tornavo in aereo dall’Islanda: a bordo c’era un bimbo che piangeva, e dall’aereo una volta partito non si può cambiare carrozza… così quel pianto persistente è diventato l’uomo immobilizzato nel letto costretto a sentirsi l’infinito pianto di un bambino, giorno e notte, per settimane, fino a quando esasperato, trova una soluzione estrema…
L: Il tuo interessante episodio “La Verità sul Caso Valdemar” fa parte di P.O.E.: Poetry of Eerie (2011), un horror collettivo nato da un progetto di Domiziano Cristopharo e ispirato alle opere di Poe a cui viene data una rilettura contemporanea. Com’è avvenuta la scelta di questo racconto e perché farcirlo con un forte umorismo nero?
E: La scelta su “Valdemar” è stata fatta per una mera considerazione di budget… la storia prevedeva un uomo nel letto di morte e il suo mesmerizzatore vicino: quindi poche location, pochi attori… ma poi ovviamente nel riscrivere una cosa vengono fuori idee, e l’unità spaziale sfonda le pareti della sola camera da letto del racconto… comunque, sempre grazie alla grande disponibilità della piccola troupe, il corto è costato 250 euro, 120 dei quali vinti mentre riprendevo lo “zombi” intento a giocare a una slot machine: Gerardo Lamattina, nel suo trucco grottesco fatto dal bravissimo Tiziano Martella (con il quale ho poi rilavorato in “Perdita di Fiato” per Poe 2) spingeva a caso i tasti della macchinetta infernale, e senza rendersene conto accumulava vincite fatte a caso… quando me ne sono accorto ne aveva già perse la metà, ma le monete scese sono bastate per invitare tutti a fine riprese a mangiare un buon sushi!
Per quel che riguarda l’umorismo, diciamo che fa parte del mio stile, e per quanto se ne voglia dire, i racconti di Edgar Allan Poe sono a mio avviso tutti intrisi di nero umorismo… chi non lo vede dovrebbe farsi ogni tanto qualche risata in più.
L: Invece cosa ci puoi dire di “Perdita di Fiato”, episodio presente in P.O.E.: Project of Evil (2013), sequel di P.O.E. Poetry of Eerie?
E: Con “Perdita di Fiato” ho voluto fare un’operazione premeditata: volevo mettere in scena tutto ciò che mi è stato accusato non mettere in “Bloodline”: corpi nudi, violenza forte, look “indie” per accontentare quei blogger dei quali parlavo prima ovviamente sempre condendo il tutto con ironia.
Trovo il corto ben riuscito grazie alla bella interpretazione di Francesco Malcom, che avevo molto apprezzato per la sua grande professionalità in “Bloodline” e Paolo Ricci, il grande Klaus Kinki sempre da “Bloodline”. Non per ultimi gli effetti del buon Tiziano e la disponibilità ancora una volta di Marina e Paolo, nonché un mio attore portafortuna che il grande (non solo per stazza) Alessandro Rella…
Particolarità stilistica nell’averlo girato muto, con tutta una prima parte che richiama il periodo espressionista tedesco, è stato dato ancora una volta da una esigenza economica: costato anche questo sui 200 euro, non sono riuscito a trovare un fonico per i due giorni di ripresa… ho ragionato e, essendo parte della storia il “perdere fiato” ho capovolto le aspettative: muto di presa diretta all’inizio quando gli attori parlano, voce mentale (fatta poi tranquillamente in doppiaggio) una volta perso il fiato da parte del protagonista.
Un’altra cosa che mi ha divertito scrivere è stato fare del “metacinema”, giocando con il vero background da ex pornoattore di Francesco Malcom.
Ne approfitto per dire che con Francesco abbiamo in cantiere un nuovo progetto, una commedia proprio sul mondo del porno, ai tempi di internet: una specie di “Tron” nella factory dei film per adulti.
L: Hai anche partecipato a 17 a mezzanotte, l’horror antologico ideato da Davide Pesca. Il tuo episodio, Assuefazione, è uno dei migliori. In pochissimi minuti sei riuscito a confezionare una storia efficace e a trasmettere allo spettatore il disagio e il tormento del protagonista. Com’è nata l’idea per questo corto?
E: Accidenti, anche con questa domanda ho anticipato i tempi sopra… aggiungo un particolare: all’inizio l’idea era quella di un montatore del suono che non riusciva a lavorare perché disturbato continuamente dal pianto di questo bambino… giorno/notte/giorno… fino a portare l’uomo alla pazzia, per scoprire al finale che l’uomo abitava in una casa isolata su una collina, e che quindi il pianto era dentro alla sua testa.
Poco prima di girare, durante il Noir Festival a Courmayeur, son scivolato su una lastra di ghiaccio rompendomi la fibula… ma la consegna del corto non poteva essere rimandata, così ho approfittato della mia condizione da “infermo” e cambiato il setting scenografico: ho preso una Go Pro e sedendomi affianco al protagonista ho girato in un tre ore circa il corto… necessità virtù, credo sia una cosa indispensabile saper trovare al volo soluzioni ai mille imprevisti che capitano su un set.
L: Come descriveresti la tua esperienza avuta in questo progetto a cui hanno preso parte, oltre a te, altri 17 registi?
E: Sono ancora progetti che, indipendentemente dal numero dei partecipanti, sono tutti individuali, quindi si ha il senso del tutto solo a visione del film finale.
Per quel che riguarda comunque “17”, il sorteggio della successione degli episodi è stato fortuito, e ha mescolato bene fra loro corti meglio riusciti rispetto ad altri; inoltre la durata veloce di ciascun episodio (max 6 minuti) aiuta la fruizione generale, e se un episodio non è di proprio gusto non si devono aspettare lunghi tempi per vederne uno nuovo.
Diciamo che il bello credo verrà stasera, quando molti di noi s’incontreranno per la prima volta a Livorno (stasera c’è la prima del film) e fra vino, cibo e allegria passerà una bella serata, ricca di nuove amicizie e future collaborazioni.
L: Sangue Misto è un altro film collettivo (per cui è appena iniziata la campagna di crowdfunding su Indiegogo) nato da un’idea di Davide Scovazzo. “Cuore rivelatore” è il titolo del tuo episodio che ne affianca altri sette diretti da altrettanti registi. Puoi dirci qualcosa in anteprima? Il tuo corto parlerà degli indiani. Perché questa etnia?
E: Tempo fa, sempre con Domiziano, dovevo partecipare alla terza parte di Poe, “Poern”, una deriva “erotica” dei suoi racconti: non avevo molte idee fino a quando una sera per caso, mi imbatto in “1000 modi per morire” (o qualcosa del genere), dove un uomo elettrizza il cuore di una mucca, facendo così pulsare il muscolo dell’organo e usarlo come “bistecca in mezzo al termosifone”… in poche parole per far dell’autoerotismo… l’idea mi piacque subito e scrissi una versione con un uomo, ossessionato da una ragazza, che poi uccide per far sesso con il suo cuore… ma il centro del racconto di Poe è il “pentimento”, il senso di colpa per l’azione commessa: trasformai allora la storia con un gruppo di teenager che, per punire un ragazzo indiano per il solo aver parlato con una “loro” ragazza, lo obbligano a copulare con un cuore di mucca, animale a loro sacro… il gesto di quell’atto impuro portava il ragazzo indiano a impazzire… non riesco però a stare nei tempi di consegna, così “salto il giro” e riadatto la storia per sangue misto, rientrandoci perfettamente come “direttive”… cambio alcune cose e il senso di colpa lo sposto a uno dei ”carnefici”, ridando un tutto tondo alla storia… ho spoilerato troppo?
L: Forse sì. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Cosa c’è in cantiere? Possibilità di un altro lungometraggio horror?
E: Oltre al lungo con Francesco Malcom (scritto assieme anche a Daniele Rutigliano), con Luca Pedretti, uno sceneggiatore di Bologna, stiamo lavorando a una sua storia sugli EVP, le registrazioni audio “fantasma”: la sceneggiatura è pronta, abbiamo già un piccolo budget, stiamo cercando di portare in “saccoccia” qualche altro “spicciolo” ma diciamo che vorremmo partire con le riprese a settembre/ottobre, fra Roma e Colobraro, in provincia di Matera.
L: Cosa pensi della situazione attuale del cinema horror?
E: E’ molto attiva e feconda, anche se per tanti lavori, soprattutto cortometraggi, vedo che ci si lega ancora troppo a “situazioni” più che a storie, a messe in scena di “momenti” più che a sviluppi narrativi… Per quel che riguarda l’unità invece, a parte questi progetti “corali” che di fatto ci legano sulla carta, manca forse ancora una visione d’insieme “umana” più compatta, anche se ovviamente ci sono eccezioni: su tutti non posso non nominare l’amicizia, oltre la stima professionale, con Domiziano (Cristopharo) e (Raffaele) Picchio.
Mi piacerebbe ci fosse una factory più compatta, anche se alla luce del poi, di piccole factory ce ne sono tante: per esempio Boni-Ristori stan producendo adesso il lungo di un altro regista, Albanesi è passato alla produzione già di due film… insomma, realtà che spero non arrivino a farsi la guerra ma a far da testa d’ariete unitariamente, in modo da riportare in sala più film di genere, perché di sole vendite home video non si sopravvive proprio…
L: I film horror che non ti stanchi mai di vedere e che consideri i capisaldi del genere?
E: Beh, la cinematografia di Carpenter mi piace, almeno fino al “Seme della Follia”, anche se il film horror che trovo più perfetto è “Il Signore del Male”… ma anche “La Cosa” ci dà dentro!
Fulci lo trovo geniale, ma non sono cresciuto con i suoi film: però quando mi fa prendere a cazzotti uno squalo dallo zombi che esce dai fondi marini, lì mi commuovo!
“Demoni” di Bava lo trovo ottimo, il make up di Stivaletti è veramente altissimo: si vede che aveva voglia di dire qualcosa…
Ma il film che ricordo nella mia infanzia con più terrore è il brutto “Hamityville Horror”: il sangue che esce dalle pareti mi terrorizzò, e io, che dormivo sempre attaccato al muro, dovetti cambiare posizione del sonno.
Ah, Cronenberg: i suoi film sono una costante ricerca del senso di “mutazione”… dalla carne alla mente, e il suo “Videodrome” lo amo alla follia… e non dimentichiamo Romero e la sua prima trilogia.
L: Un’opinione su questa intervista?
E: Finalmente un po’ di domande nuove, oltre “Bloodline”, grazie!
L: Lascia un messaggio alla community di DarkVeins e a tutti coloro che leggeranno questa intervista!
E: Scusate la prolissità di certe risposte, ma credo che a volte comprendere meglio certi meccanismi possa portare anche lo spettatore ad “evolvere” come fruitore filmico: è essenziale per noi il vostro appoggio, le vostre critiche, i vostri incoraggiamenti, perché un film non viene fatto (solo) per una forma di egoismo egocentrico, ma per un “vampirismo” energetico, e piacere a più persone possibili è quello che si spera ogni volta che si crea qualcosa.
Grazie per la pazienza… e ne approfitto per mandare un bacio alla Lumi, la mia bimba di 10 anni che spera sempre prima o poi io possa fare un film sugli unicorni!
L: E noi ringraziamo te per il tempo che ci hai dedicato e ti auguriamo buona fortuna!