In questi interventi, facciamo invece una veloce “carellata” sui film meno riusciti, che vedono Sacchetti coinvolto solo marginalmente nella stesura delle sceneggiature…
D: Due parole su Quella villa in fondo al parco, di Carmineo (famoso per la presenza di un vero freak), e su Assassinio al cimitero etrusco, del quale Sergio Martino firmò la regia sotto pseudonimo…
Sacchetti:
“Quella villa in fondo al parco…
C’era un pacchetto di sei film da fare con De Angelis, Larry Ludman, film di guerra e due sul coccodrillo (quelli diretti da Giannetto De Rossi, Killer Crocodile, n.d.a.). Di fatto, poi, per come si è comportato De Angelis, sono stati gli ultimi film miei con lui e gli ultimi di fatto, perchè bruciò i clienti internazionali, che da allora si sono tenuti alla larga dai film italiani di genere, interrompendo i finanziamenti. Tornando da un sopralluogo a Santo Domingo, De Angelis mi fece vedere una rivista locale con un articolo su un tizio chiamato uomo topo, e mi disse che voleva farci un film sopra. Mi dette le sue coordinate: una casa, una spiagga e nient’altro. Non ho mai visto il film, so che Carnimeo s’era preso una sbandata per la Grimaldi (Eva, interprete principale della pellicola, n.d.a.) che al provino, ero presente, se lo rigirò come un pedalino. Qualche anno più tardi le ho visto fare la stessa scena con Marione. Ricordo poco della storia (stavo litigando con De Angelis che aveva fatto promesse e non pagava) se non che era indecisa, in bilico tra il serioso e lo splatter, una specie di ibrido.
Assassinio al cimitero etrusco…
Giannni Saragò, amministratore di Luciano Martino, mi dice che ha un’idea: vuol fare un giallo su un cimitero etrusco. Scrivo un soggetto di una decina di pagine. Gianni me lo fa comprare e pagare da Martino, poi, con grande dispiacere perchè oltre ad essere un amico è un uomo onesto, mi dice che Luciano ha affidato il film a suo fratello Sergio e Sergio, che non mi conosceva, aveva il suo sceneggiatore di fiducia e voleva farlo solo con lui. Credo che fosse Gastaldi (Ernesto, regista di Libido e Notturno con grida, n.d.a.).”
D: Apocalypse Tomorrow rappresenta l’escursione di Antonio Margheriti (celebre regista di horror d’epoca) nello splatter… Il film mi ricorda molto la tua affermazione sulla “contaminazione dei generi” citata in merito a Zombi 2. Come è nata l’idea di miscelare zombi, cannibali e guerra in questo viscerale splatter?
Sacchetti:
“Apocalypse domani è un film che mi piace molto, e piace anche a Tarantino.
Margheriti si era specializzato in finti “rambo” girati nelle fillippine. Il produttore Amati, visto che c’era un discreto margine di guadagno, chiama lui e me per un film di genere. A me non piace eseguire i compiti. Mi sta bene che mi dicano ispirati a questo o quel film, ma ci devo mettere qualcosa di mio. Così portai dei reduci dalla giungla in città e m’inventai che una prigionia con costrizione al cannibalismo potesse generare una specie di virus… era una metafora in cui credevo molto, e ci credo tuttora (basta darsi una occhiata in giro), e mi ha dato la possibilità sia di contaminare i generi, cosa che adoro fare, sia di introdurre allora delle devianze forti rispetto ai codici narrativi. Mi sono divertito a farlo e lo rifarei; si può scegliere Irak, Kossovo, Darfur, Cecenia: avanti ragazzi prendete spunto per il corso, cominciate a lavorare!”
D: Camping del terrore di Ruggero Deodato può essere visto come “chiusura” del cerchio: Reazione a catena – Venerdì 13 – Camping del terrore… Il film è molto efficace in termini di “effetti”, ma termina in maniera molto ambigua… Quel finale era tipico delle produzioni horror. Veniva imposto dalla produzione?
Sacchetti:
“Era un copione di Alessandro Capone (celebre per la regia di Streghe, n.d.a.) che voleva debuttare alla regia. Il produttore però, pur amando il progetto e stimando Capone, pensò di offrire il film a Deodato e chiese a me di fare una revisione…
Lavorammo in condizioni molto difficili… La troupe, raggiungendo la piana del Gran Sasso alle due di notte, fu investita da una tormenta di neve che la bloccò per dodici ore; il resto fu obbligato ad andare a chiudersi in un albergo a Penne a cento chilometri di distanza. Per tutta la prima settimana si girò all’interno di una tenda piazzata nel garage dell’albergo, poi quando arrivammo sul set non c’era niente che corrispondesse al copione e al piano di lavorazione, fu licenziato lo scenografo e ne arrivò uno nuovo alla seconda settimana, che si inventò dei camper. Tutto ciò, mentre Deodato faceva la corte alla Brilly, comportava la riscrittura del copione durante la notte, anche durante le riprese. Sono stato sul set per tutte e quattro le settimane anche perchè il piccolo Ben, figlio di Mimsy Farmer nel film, è mio figlio Davide. Ricordo che avevo una Saab turbo, e impiegavo 55 minuti per fare duecento km d’autostrada sotto la pioggia; ma allora fumavo quattro pacchetti di marlboro, bevevo due bottiglie di vodka al giorno e… mi sono divertito, ma il film poteva venire meglio, comunque è del tutto casuale che risulti come pezzo finale di un percorso.”
D: Paura nella città dei morti-viventi è l’horror più crudo di Fulci. In sceneggiatura erano riportate (come per Zombi 2) tutte le sequenze splatter (ancora oggi è incredibile l’efficacia della trapanazione della mascella di Giovanni Lombardo Radice)? Che significato attribuire al “frame” in chiusura con lo strano sguardo (seguito da un urlo) del bambino?
Sacchetti:
“Dopo il grande successo, soprattutto economico, di Zombi 2 Fulci mi chiamò e mi disse: “A sacche’ vedrai faranno ‘a fila, nun ciavremo da da li resti”… e per sei bei mesi non accade un… come direbbero i francesi? Un cazzo? Ebbene sì, non accadde un cazzo e noi avevamo il soggetto pronto. Ho ancora la copia. Sulla prima pagina, a matita, di suo pugno, Fulci scrisse: un film di Lucio Fulci, Paura nella città…
Soggetto di Elisa Briganti e Dardano Sacchetti; poi, se vai avedere i titoli, ti accorgi che è diventato un’altra cosa… il film alla fine si fece perchè Fulci convinse il suo amico Jaboni, terzo socio di minoranza della Medusa, che il film era un guadagno sicuro e Jaboni convinse i due soci più forti. Come è nato il film? A me piacciono le scariche improvvise di adrenalina, quando ti si apre il cervello e tiri fuori cose che manco sapevi di avere, mentre i compitini fatti a tavolino mi lasciano freddo. Fare cinema è come fare sesso. Se ti capita una situazione imprevista, e ti viene una bella eccitazione, dai il meglio di te, ma se cerchi di organizzare una cosa sa sempre di telefonato… Fulci s’era riletto Lovecraft; voleva fare un film di quell’atmosfera, stava muovendo i primi passi nell’horror e si sentiva più sicuro tra le pareti confortevoli della letteratura classica. Dammo invece libero sfogo ai cattivi pensieri dove Fulci, Beatrice Cenci docet, non aveva problemi. Il finale: mi chiedi il significato del frame finale… Sta nel fatto che, contrariamente agli americani, che devono sempre chiudere un film, qualsiasi film, con una immagine positiva, e con una fine esaustiva, noi che non amiamo il lieto fine e tutta la storia del nostro cinema neorealista è imbevuta di finali aperti, abbiamo preso l’abitudine di non chiudere neanche i film di genere… ma c’è un precedente clamoroso, che è proprio americano, ed è Carrie di Brian De Palma, solo che gli americani se la cavano col fatto che è un incubo (si può leggere, in queste righe, un aperta critica a Nightmare? n.d.a.)…”
D: L’ultimo squalo, per la regia di Castellari, ebbe grane legali perchè, all’estero, ottenne il medesimo successo de Lo squalo, pur essendo stato realizzato con un budget ristretto…. Eppure il film funziona e rende, anche sul piano visivo, quanto il modello a cui si ispira… Cosa puoi dirci di Castellari?
Sacchetti:
“Era una brutta sceneggiatura di Mannino, che sembrava, non so quanto volutamente, la copia carbone dello Squalo di Spielberg e per di più non funzionava. Il produttore era lo stesso di Zombi 2: Tucci. Tucci mi chiamò perchè mi stimava e voleva che ci mettessi le mani. Avevo meno di una settimana. La mia preoccupazione fu di discostarmi il più possibile dal film di Spielberg. Mi ero inventato che era tutto frutto della tv, c’era uno che voleva riprendere in diretta, come in un reality show, l’attacco di uno squalo, attacco che poi sfuggì di mano. Non girarono, non so per quali motivi, il mio copione. Ripresero quasi tutto l’originale e il risultato fu che gli americani massacrarono il produttore che tornò, persa la causa, dicendo che gli avvocati americani sono i più cattivi del mondo. Credo che ancora adesso non possa andare negli Usa.”
D: Qual è il tuo contributo al film Il cacciatore di teste? Quali sono stati i tuoi rapporti con Jesus Franco?
Sacchetti:
“Non so niente. Non ho mai visto sto Jesus. So solo che il produttore, che era una specie di barzelletta, non pagava, faceva il furbo. Io non gli detti il copione, lui venne a casa portandomi, su mia richiesta che non mi fidavo dei suoi assegni, un milione in contanti in biglietti da mille e cinquecento lire (ma c’è anche chi mi ha pagato con un tavolo e quattro sedie e chi con una stecca di marlboro).
La storiellina era banalotta, ma dentro c’erano un paio di chicche.”