In questa “corposa” parte, approfondiamo maggiormente nel dettaglio alcuni aspetti dei film meno noti realizzati per la tv e scopriamo come anche Inferno (1980), di Dario Argento, debba qualcosa a Sacchetti…
Non senza dimenticare curiosità sul giallo più violento della nostra cinematografia, quello Squartatore di New York (1983) che ha un minimo denominatore comune con La casa di via Rubens (aka per Un delitto poco comune), 1987 di Deodato…
D: Hai menzionato la serie di film diretti da Bava “Brivido giallo” ed “Alta tensione”…
Del primo uno dei film più riusciti è La Casa dell’Orco che presenta molti punti in comune con Quella Villa Accanto al Cimitero; si tratta dello stesso soggetto?
Sacchetti:
“La Casa dell’Orco e Quella Villa Accanto al Cimitero
non sono lo stesso soggetto, ma fanno parte della mia poetica casa-bambini: un tema ricorrente che ho affrontato varie volte con sfumature diverse, ma anche con assonanze. Sono storie che nascono da un mio vissuto in questa grande casa di campagna che aveva una strana fama ed ara abitata da una presenza inquietante. Diciamo quindi che l’emozione che c’è alla base di questi film è la stessa: il mio rapporto con una presenza che avvertivo, con la quale avevo avuto un contatto diretto quando la persona era ancora in vita e che poi ho percepito dopo la sua morte, ma sono stato testimone diretto di incontri tra questa persona e “malcapitati” che hanno avuto la ventura di dormire nella sta stanza, dove mio padre e suo fratello non osavano entrare da soli. Ma il fatto è che oltre a questa presenza (un uomo, un prete, a causa di una gamba rotta ha vissuto per 40 in una stanza senza mai muoversi da lì e dopo la sua morte la stanza non è stata più toccata) io percepivo netta un’entità. Ma la casa aveva una una prima cantina, dalla quale scendeva per oltre quindici mettri, scavata nella roccia una scala che portava ad una seconda cantina. Rotto l’impianto elettrico, quella scala e quella seconda cantina sono rimaste buie per l’eternità. Nessuno sapeva cosa ci fosse lì sotto. Solo mia nonna, al buio, osava scendere quelle scale. Io rimanevo sui primi gradini con una candela accesa e la vedevo sparire nel buio. Sentivo solo rumori. Quindi i film nascono diversi, ma dietro c’è la stessa emozione da me vissuta in momenti diversi e con stati d’animo diversi.”
D: Per sempre (ciclo “Brivido giallo”) è noto per via di un’incomprensione nata con Fulci perchè si era attribuito la “paternità” del soggetto (peraltro molto simile al “Postino suona sempre due volte“). Puoi chiarire questo mistero?
Sacchetti:
“E’ uno dei momenti più dolorosi del mio rapporto con Fulci. Le cose sono andate così: da diversi anni non ci parlavamo. Poi un giorno lui mi chiamò. Stava cercando con Roberto Gianviti di mettere in piedi una storia di sesso e fantasmi. Volevano una mano a stendere un soggetto che non riuscivano a far quadrare. Erano entrambi molto confusi, perchè non sapevano dove andare a parare, se più sul sesso o più sui fantasmi. Partecipai a riunioni per circa una settimana. A me la storia che mi raccontavano non piaceva. Non girava. Lo dissi e allora Fulci mi chiese a cosa stavo lavorando. Gli dissi che avevo scritto un soggetto ispirato ad una sorta di seguito del “Postino suona sempre due volte”. Fulci lo volle leggere. Gli piacque moltissimo. Trovò un produttore che mi fece un contratto di acquisto di soggetto e incarico di sceneggiatura per me ed Elisa Briganti (contratto che ho, dove si vede che Fulci non c’entra). Consegnata la sceneggiatura, il produttore non pagò e disse che non era in grado di fare il film. Fu onesto perchè mi ridette la disponibilità. Fulci portò la sceneggiatura da un altro produttore, che non mi fece alcun contratto e che per qualche tempo andò in giro nel tentativo di montarla senza riuscirci. Era passato il momento magico sia dell’horror italiano, ma soprattutto, di Fulci dopo la catastrofe di Conquest e altri errori. Fulci continuò a portare in giro la sceneggiatura, che era bellissima. Io ero contrario perchè così rischiava di sputtanarsi, oltretutto per me era un lavoro fatto in totale perdita e mi dovevo tutelare. Così gli dissi di non portarla più a finti produttori. Lui, a mia insaputa fece fare una traduzione in inglese ad un attore, Brett Hasley (interprete di Le porte del silenzio ’91, n.d.a.), promettendogli la parte da protagonista se riusciva a montargli il film. Hasley addirittura mise il suo nome come autore della sceneggiatura. A quel punto la rottura divenne totale. Mi incazzai e ruppi definitivamente i miei rapporti con Lucio. Un paio di anni dopo, nell’ambito della serie “Brivido giallo”, mancava una sceneggiatura per completare la serie. Lamberto che conosceva il progetto mi chiese se era libero. Dissi di sì e glielo diedi. Fulci, geloso che Lamberto (che non stimava) realizzasse un film a cui teneva molto, tentò di dire che il progetto era il suo perché, quando un regista presenta una storia, automaticamente diventa sua e nessun altro può farlo. Tesi molto debole. Il fatto è che in quel momento era malato, in disgrazia, con problemi di soldi, reduce da pessime esperienze tipo Zombi 3. Ci siamo riparlati con Lucio solo pochi mesi prima che morisse. Fu naturale far pace, eravamo due reduci delle stessa guerra. Ci mise in contatto Dario per un film. Lucio era felicissimo di tornare a lavorare con me e poi sotto il patronage di Dario era convinto che avrebbe fatto un film epocale che lo avrebbe rilanciato. Scrissi per Lucio un trattamento bellissimo su una sua idea: rifare la mummia. Mandammo il trattamento della mummia a Dario che era in America, Dario mi insultò per telefono dicendomi che non mi dovevo permettere di mandargli simili storie. Ruppi con Dario e da quel momento non ho più collaborato con lui (siamo alla quarta lite). Fulci cominciò a lavorare con Stroppa sulla Maschera di cera, ma morì prima e il film fu realizzato da Stivaletti. La cosa curiosa è che tre anni dopo gli americani fanno La Mummia e, guarda caso, la prima parte del film è identica al mio trattamento inviato a Dario in America!”
D: Il ciclo “Alta tensione” (composto da Il Maestro del terrore, Il Gioko,Testimone oculare e L’uomo che non voleva morire) è rimasto inedito (attualmente in home video solo Il Maestro del Terrore) e diffuso in tv solo nel 2000. Considerato che l’insieme di film era molto migliore di “Brivido giallo” (serie virata all’ironico e recuperata in vhs dalla Shendene & Moizzi nel 1999) non credi che l’invadenza della tv nel settore cinematografico abbia creato parecchi danni?
Sacchetti:
“Effettivamente i film della serie “Alta tensione” sono migliori di quelli di “Brivido giallo”, eppure hanno avuto una sorte peggiore. In realtà ciò si deve, in primis, al fatto che dietro Brivido giallo c’era un produttore “pesante” con buoni rapporti con Mediaset, che è Luciano Martino. Mentre il produttore di Alta tensione è lo stesso Lamberto che, alla sua prima esperienza di produttore, di fatto non era in grado di imporsi a Mediaset, vera ed unica finanziatrice della serie, quindi ha subito il dicktat del network. E’ anche vero che erano passati un paio d’ anni dalla prima serie e l’autonomia (e la prepotenza dei network) era sempre più evidente. Si stava delineando quella che viene chiamata “linea editoriale” per cui sono i network che impongono non solo i progetti, ma anche i modelli di realizzazione e tutto ciò che non collima con la linea editoriale, ovvero con la presunta aspettativa di audience, ha di fatto vita difficile. La verità è che non si può fare cinema di genere con una Tv generalista. Bisognerebbe lavorare con un canale specializzato. Ma i due unici nostri registi (Bava e Soavi) alla fine hanno accettato le regole del network, scelte che non discuto e che hanno anche prodotto buoni risultati, ma di fatto quel tipo di cinema, di storie è praticamente sparito. Poi dobbiamo tutti mangiare e pagare le bollette, quindi…”
D: Il Maestro del Terrore vede al centro della storia la “vendetta” di uno sceneggiatore nei confronti di un regista: è sbagliato vederne una metafora di Sacchetti vs Fulci? Voglio dire: quel soggetto è molto autobiografico, vero?
Sacchetti:
“E’ ovviamente autobiografico ed è ovviamente una specie di vendetta, ma non contro Fulci, bensì contro Lamberto che, regista e produttore, spadroneggiava troppo e si dava un mucchio di arie. Il bello è che Lamberto non si è neanche accorto d’essere lui il bersaglio. Ma con quel film si interruppe anche la mia collaborazione con Bava, che infatti non mi ha mai più chiamato, anche se ci siamo rincontrati per caso alla PAC per un giallo, che poi è stato realizzato da Aldo Lado, l’Alibi.”
D: Nei due film per la tv, Una Notte nel Cimitero e A Cena con il Vampiro, la componente umoristica è molto accentuata. Come mai questo tipo d’impostazione che, in conclusione, ha lasciato perplessi alcuni spettatori?
Sacchetti:
“Bella domanda, bisognerebbe rivolgerla a Bava. Originarianamente nascevano come onesti “filmetti de paura” con alcuni paletti fissati dal produttore che erano il budget ridicolo (esattamente la metà di quanto prendeva da mediaset) e l’unicità del luogo in modo da avere riprese concentrate. Sono stati pensati non per essere “Betleejuice“, ma più vicino allo spirito di Un lupo mannaro americano a Londra, ovvero ragazzi giovani calati per caso in situazioni di paure vere, poi… poi è arrivato Stivaletti con proposte che di fatto sembravano giochi senza frontiere e Lamberto, che è anche bravo tecnicamente, ma non brilla per chiarezza e fermezza di tono, finisce spesso per stonare; e un film d’horror non perdona, quando si perde lo stile, il rigore si finisce puniti, ne sa qualcosa persino il maestro Argento che, negli ultimi film, spesso non riesce a dare la parte finale all’altezza dell’incipit originale. Nel caso di questi due film, prima non capiti nello spirito, eppure, citando Un lupo mannaro americano dò una chiave di lettura precisa di Una notte al cimitero: dei ragazzi si perdono in una brughiera nebbiosa, trovano un vecchio Pub, entrano, sono affascinati da una sfida, l’accettano e…
anche A cena col vampiro ha un modello di riferimento, che è Intervista col vampiro, ma… ripeto bisognerebbe chiederlo a Lamberto, ma…”
D: Nelle sceneggiature non accreditate, di cui abbiamo trattato, è rimasto escluso Inferno di Dario Argento… come sei stato coinvolto nella realizzazion del film, al quale anche Mario Bava ha prestato il suo estro per la realizzazione di alcuni effetti visivi?
Sacchetti:
“La mia presente partecipazione non accreditata ad Inferno è venuta fuori di recente, da quando, avendo qualcuno scoperto che La chiesa è mio, ho deciso di svelare tutti i film ai quali in qualche modo ho preso parte. Per quanto riguarda Inferno si tratta di una collaborazione amichevole del tutto ininfluente. Dario aveva lavorato per sei o sette mesi sul copione. Lo aveva finito da poco. Doveva iniziare le riprese e aveva, come accade quando si finisce, una serie di dubbi. Suo padre e suo fratello (il produttore Claudio, n.d.a.) mi chiamarono e mi chiesero se ero disposto a passare qualche giorno con Dario per fargli da sparring-partner. Il patto era che potevo chiedere i soldi che volevo, ma non avrei dovuto firmare la sceneggiatura, qualunque cosa fosse accaduta. Lessi la sceneggiatura e per circa una settimana passai sette, otto ore con Dario chiuso in una pensione davanti a ponte Matteotti. Lui mi esponeva i suoi dubbi. Ne parlavamo. Alla fine Dario si convinse che la sceneggiatura andava bene così com’era, tranne una scena. Ipotizzammo dei cambiamenti, poi Dario, riscrivendola, cambiò solo un piccolo dettaglio. Niente di più. Quindi, per una settimana ho dato a Dario la mia disponibilità professionale, è questo è un fatto, ma nel film alla fine, di mio, non c’è niente.
Ma sono stato viziato, avevamo ogni genere di conforto.”
D: Damiano Damiani è stato un regista che ha dato il massimo nel cosidetto cinema d’impegno. Eppure credo che resterà famoso per la realizzazione di Amityville Possession. Quel film, proposto come Amityville 2, supera in effetti splatter e gore il precedente capitolo e si amalgama con sequenze che richiamano alla memoria L’Esorcista. Puoi svelare alcuni retroscena del progetto?
Sacchetti:
“E’ un film che ricordo malvolentieri perchè in qualche modo ha fatto naufragare la mia carriera americana, altrimenti sarei andato a Las Vegas a giocare a dadi con Dennis Etchison e poi saremmo andati da King, questo era il programmma. Dunque avevo venduto a Dino De Laurentiis il soggetto The ogre, a Londra, dove stavo lavorando a Flash Gorrdon II, Man Wolf e Ghost rider, feci il polish insieme a Colin Wilson. Dopo sei mesi, mi trasferi a New York perchè Dino, a seguito del flop sia di Ragtime che di Flash Gordon, chiuse gli uffici londinesi. Io mi stavo trasferendo con la famiglia, avevo già preso casa a Londra.
Andai a New York, conobbi Sharon Stone che aveva appena fatto una particina su un film di Woody Allen, Stardust memories, e andai a cena con lei ed altri per festeggiare il suo esordio. Parlai tutta una mattina con John Milius, che aveva appena finito di girare Conan, avevo il mio ufficio al 15 piano del grattacielo della Universal in Lincoln Center, stavo a due passi dal palazzo di “Rosemary’s Baby”, che vedevo dalla finestra del bagno della mia stanza d’albergo e mi sentivo a casa, finchè una mattina Dino arriva con Damiano e mi dice che sarà il regista del film, che nel frattemto stavo revisionando per spostare l’ambientazione dall’Inghilterra a Nantucted Island. Restai di sale. Conoscevo Damiano, con lui avevo scritto un trattamento Il Re della Mafia tratto da un romanzo americano. Lo stimavo e lo stimo come regista di film impegnati. Non ce lo vedevo a dirigere un film d’horror. Lo dissi a Dino, che in quel momento stravedeva per me per nominarmi vicepresidente della sua compagnia. Dino mi disse che era compito mio obbligare Damiano a fare il film che volevamo noi. Damiano, che usufruivra di un vecchio contratto, voleva in realtà fare un film porno. Lui era stato in america un paio di anni prima ed era stato folgorato da “Gola profonda” (ancora adesso ne parla). Mi disse che lui avrebbe fatto cambiare idea a Dino, che io dovevo stare dalla parte sua. Così cominciò una situazione kafkiana. Di giorno lavoravamo insieme nello stesso ufficio alla sceneggiatura e ogni giorno che passava lui diceva, con forza crescente, che quel film non poteva farlo perchè rischiava di giocarsi la faccia con la critica impegnata italiana. Damiani, di sera, mi trascinava in giro per tutti i locali a luci rosse di New York. Ho fatto un’indigestione di filmetti porno, spettacoli dal vivo, topless bars e locali tipo girls girls girls, ma ho anche visto suonare dell’ottimo jazz, ho sentito cantare Leonard Cohen nel bar dove aveva esordito, ho attraversato con Damiano Harlem di notte, abbiamo visto la sede del musulmani neri, siano stati in quello che una volta era il Cotton Club, ma al momento del dunque Damiani rifiutò di fare l’horror, puntò i piedi. Voleva fare il suo film inchiesta sul mondo del porno. Dino disse no. Poi, qualche settimana dopo, morì Federico, l’unico figlio maschio di Dino: cadde con un aereo in Alaska durante una tormenta di neve.
Dino cadde in depressione e chiuse l’ufficio. Per sei mesi restò chiuso in una stanza al buio col suo dolore. Non voleva parlare con nessuno. Tornai in Italia. Sbagliai. Dino ha sette vite. Si riprese dopo un anno e il primo film che andò a realizzare fu il mio, solo che nel frattemto era stato riadattato da un americano e la casa maledetta che aveva un Orco in cantina divenne “Amityville II” – the possession. Damiano fece il film onestamente e ci diede dentro.”
D: Nel 1983 Fulci realizza il giallo più violento della storia del cinema italiano (Lo squartatore di New York). Secondo il mio parere il film merita una rivalutazione perchè è una delle rare volte che presenta una motivazione del killer plausibile… Fulci gira con una tecnica superiore a qualsiasi media e realizza un piccolo gioiello della nostra cinematografia.
La violenza dei delitti, in particolare quello finale eseguito con una lametta, era così dettagliata anche nella sceneggiatura? Si è detto, inoltre, che lo stesso soggetto è alla base di Un delitto poco comune (1987) di Ruggero Deodato. Cosa c’è di vero in questa affermazione?
Sacchetti:
“Una settimana prima della partenza per andare a girare il film in America, mi chiama De Angelis, perchè Fulci non aveva il coraggio di farlo. Avevano una sceneggiatura di Clerici e Mannino, bravi sceneggiatori voluti da Fulci, che non li convinceva. Tutto ruotava intorno alla figura di un assassino malato di progeria, malattia degenerativa che colpisce i bambini intorno ai dieci anni e che fa loro invecchiare le cellule talmente rapidamente da farli morire di “vecchiaia” nello spazio di pochi anni. La scena clou era quella in cui l’assassino entrava giovane ed usciva più vecchio, molto più vecchio ed irriconoscibile (il modello era ovviamente Miriam si sveglia a mezzanotte dove si parla per la prima volta della progeria – badate gente un film “originale” nasce sempre dalla costola di un altro film originale uscito prima, aver frequentato Dario per trentanni mi ha insegnato qualcosa). Era un film che usava i mezzi del giallo, ma in realtà si interrogava sulla vecchiaia, sulla decadenza umana. Fulci non l’aveva capito. Pensava al giallo, pensava alle morti e quelle non gli tornavano perchè erano state costruite per un altro scopo. In cinque giorni dovetti stravolgere un copione. Agendo non sulla struttura generale, ne sul plot ma sulle situaziani, ovvero sulle morti e sui meccanismi del giallo. Operazione che, secondo me, è riuscita solo in parte per mancanza di tempo. Avessi avuto dieci giorni di più, in modo da poter intaccare anche le strutture, Lo squartatore di New York poteva essere davvero un piccolo capolavoro.
Clerici e Mannino, che erano convinti di aver scritto un bel film, non furono avvertiti di essere stati sostituiti e si offesero. Protestarono e ottennero di potersi riprendere il loro copione originale, che poi, con qualche cambiamento, diedero a Deodato e divenne Un delitto poco comune.”
D: Puoi svelare qualche retroscena del film Spettri (1987) di Marcello Avallone e del poco riuscito Morirai a mezzanotte (1986) di Lamberto Bava?
Sacchetti:
“Spettri rappresenta il debutto alla produzione di Maurizio Tedesco e alla sceneggiatura di Andrea Purgatori, il giornalista del caso Ustica, e il ritorno alla regia di Marcello Avallone. Tre amici che avevano tre grosse moto e facevano gite insieme tuttte le domeniche. Avevano scritto insieme il copione e ci credevano molto. Ci credeva meno Mediaset che finanziava l’impresa e Mediaset mi impose come doctor, ovvero dovevo garantire il film. Quelli erano gli anni in cui la mia firma sotto un copione voleva dire un mucchio di dollari. I giapponesi, che andavano pazzi per i miei film e mi hanno dedicato un festival a Tokio proiettandone 12, erano capaci di pagare cifre cospicue e in dollari!
Il copione funzionava poco, ma aveva un’idea affascinante la misteriosa Roma sotterranea, i mitrei, i colombai, la cloaca, i sotterranei del colosseo, ecc.
Discutemmo anche in modo animoso per una settimana e più, poi un giorno mi dissero: è il nostro film, ci crediamo, lo vogliamo fare così. Avallone era innamorato della scena dove lo spettro abbraccia la ragazza e delicatamente la tira sottoterra senza paura, senza sangue, senza niente. A lui piaceva così e così l’avrebbe girata. Mi dissero: ti paghiamo tutto il tuo contratto, ma lasciaci il nostro film. A volte ho l’animo dello straniero dei film di Leone.
Morirai a Mezzanotte: Ecco, questo è un film che a me provoca sentimenti di rabbia e delusione. A me piaceva molto. Ero convinto, e lo sono tutt’ora, che la sceneggiatura, il plot giallo fossero precisi. Ma il film è moscio, o meglio è monocorde, tutto su un tono senza variazioni, un film girato da Lamberto, come gli è capitato spesso, più pensando a rispettare i tempi di lavorazione e risparmiare sul budget per far contenta la produzione, che al film, al risultato. Cosa che Dario, che è un autore, non ha. Dario pensa solo al suo filn e non gliene frega un cazzo, scusate il francesismo, della produzione. Anche Soavi è fatto così. Durante le riprese di Deliria ha fatto ammattire Massaccesi che a un certo punto lo voleva sostituire perchè da quattro settimane erano già arrivati a dieci, dodici di lavorazione. Ma è così che si fa se vuoi ottenere il tuo film. Lo difendi a tutti i costi, mentre se il tuo pensiero è non dispiacere al produttore, allora finisce che “Morirai a mezzanotte” col tuo film.”