Intervista a Dardano Sacchetti

Sacchetti si rivela essere un importante fonte di conoscenza, che tocca il cinema italiano in tutti i suoi aspetti (emblamatico il suo rapporto con Lenzi ed il poliziesco)…
In questa parte, molto più ricca di particolari, avremo modo di approfondire dettagli importanti sull’origine dello “splatter” italiano (nato con Reazione a catena) e avremo occasione di scoprire alcuni retroscena che stanno alla base di un mistero di sceneggiatura sul “Dèmoni 3″ poi convertito ne La chiesa….

D: Reazione a catena è una delle mie pellicole preferite, non soltanto perchè rappresenta un Bava ai massimi livelli, quanto perchè, effettivamente, nel panorama italiano è stata la prima pellicola SPLATTER che andava in coda a successi tipo Blood Feast (1963) di H.G. Lewis, ma con una sceneggiatura ed una trama decisamente superiore…
In fase di script, come è nata l’idea di rappresentare scene così truci e violente per l’epoca? E perchè tutti i personaggi del film sono negativi, carnefici e vittime al tempo stesso?
L’idea conclusiva dei “bambini”, tutt’altro che innocenti, che ritorna anche nella sceneggiatura per il film di Fulci Quella villa accanto al cimitero (1981), è una tua costante: da cosa deriva questo pessimismo di fondo?

Sacchetti:
Reazione a catena (1971)è il film a cui sono più affezionato. Perchè, dopo il Gatto a 9 code, è stato il primo lavoro. Perchè ho potuto esprimere la mia poetica (in molti miei film si parla di bambini, di case strane, di horror quotidiano, laico… ). Perchè ho conosciuto un uomo fantastico, un vero genio con una grande creatività: Mario Bava. A vederlo, Mario, sembrava banale, non aveva nulla di carismatico, anzi era schivo, si nascondeva, non si metteva in luce, ma poco a poco, sul lavoro, scoprivi la sua personalità, soprattutto il suo mondo, la sua visionarietà, la sua PAURA; perchè Mario aveva paura, la sentiva come una cosa reale e la rappresentava. Le scene truci nascevano per divertimento, per paradosso, per creare sorpresa e angoscia nello spettatore, quindi erano studiate accuratamente. I due che fanno l’amore e muoiono fiocinati insieme è un’idea che Mario aveva da tempo. La vecchia che s’impicca sulla carrozzella è tutta mia, il finale con i bambini cattivi è tutto mio (il titolo originale doveva essere: Così imparano a fare i cattivi). Il polipo che da sotto il telo tocca la spalla è di Mario. Il film è molto compatto perchè ha un anima, semplice, ma ha un’anima. Nelle mie lezioni di sceneggiatura (qualcuna la farò anche a voi) non mi stanco di ripetere che per prima cosa bisogna trovare l’anima del film. Un film senza anima è come un Golem senza l’Aleph sulla fronte. Non vive.
L’anima di Reazione a catena sta nella totale distonia tra sentimenti e moralità: i genitori per il bene dei figli, per assicurare loro un avvenire tranquillo, non esitano ad uccidere, ma i figli questo non lo capiscono perchè vogliono un’altra cosa, quindi uccidono a loro volta….
E’ un film nero, cupo, senza speranza (non ci sono buoni, neanche i bambini ne lieto fine, quello c’è solo in Pretty Woman) ma con grandi dosi di ironia per stemperare l’amarezza, di qui lo splatter… è il primo film che usa lo splatter per alleviare lo spettatore.

D: Shock (1977), di Mario Bava, ti vede coinvolto nella realizzazione del soggetto. Si dice, in relazione a questo film, che buona parte del lavoro possa essere ascrivibile a Lamberto… Conosci altri particolari in proposito?

Sacchetti:
“E’ il secondo film che ho scritto per Mario. Fu scritto nel ‘71 subito dopo Reazione a catena. Mentre girava Reazione a catena, Mario mi disse che a lui sarebbe piaciuto fare un film su una casa, dove i protagonisti fossero gli oggetti (Mario non ha mai amato molto gli attori e per lui fotografare cose e situazioni era il massimo, poteva sperimentare). Io ho sempre subito il fascino delle case, sia perchè ho avuto il privilegio di nascere in una casa magica, sia perchè ho letto tanti racconti sulle case e visto tanti film sulle case. Le case sono sempre piene di misteri. Basta grattare i muri. Se proprio ti va male trovi un dentino da bambino, quelli da latte, che si conservano e poi si perdono. Che fine fanno i dentini? e poi siamo sicuri che siano caduti da soli?
Così scrissi il soggetto, quindi la sceneggiatura insieme ad un mio amico Franco Barberi. Lamberto non c’era. All’epoca Lamberto, padre da poco e sposo giovanissimo, aveva altro a cui pensare.
Ma il film non fu realizzato subito perchè il produttore fallì. La sceneggiatura finì nel fallimento e venne acquistata nel ‘76 da un altro produttore. In quella circostanza il mio “amico” Lamberto si guardò bene dal dirmi che stavano per realizzare il film. Me lo disse Montefiori, un vero amico. Poi, trovai con mia grande sorpresa che sui titoli di testa Lamberto non solo si era messo in sceneggiatura, ma si era messo anche come primo nome e grande il doppio rispetto agli altri”.

D: Il miglior Fulci è quello che, a ridosso degli anni ’80, realizza la famosa “quadrilogia” degli zombi…
Una delle pellicole apprezzate anche dalla critica più ostica (L’aldilà) presenta molte somiglianze con i classici dell’horror nazionali ed internazionali (Suspiria, Inferno, Shining)… Quanto è dovuto al caso, e quanto invece è da ascrivere ad imitazione (seppur originale e riuscita)?

Sacchetti:
“E’ vero, gli anni ‘80 sono stati gli anni in cui Fulci ha dato il meglio di sè. La cosa curiosa è che Lucio non sapeva di essere un grande autore horror. Ancora quando lavoravamo insieme, lui desiderava solo tornare nel “salotto buono” del cinema italiano. Tanto è vero che fece Manhattan baby (una delle opere definite da Fulci, “alimentari”, n.d.a.) con la mano sinistra in quanto aveva già in tasca il contratto per fare Conquest, film nel quale credeva molto. Lucio ha capito di essere un grande regista di horror solo dopo, quando il momento magico era passato. Il suo problema era la sua fragilità. Lucio era aggressivo con tutti, aveva un brutto carattere, ma in realtà era una maschera dietro la quale celava insicurezza e timidezza. Non aveva la personalità di Dario, così si fece “gestire” dal produttore che tagliava i budget. I miei scontri con lui nascevano dal fatto che io spingevo verso un horror moderno, mentre lui voleva ancorarsi ai classici dell’ottocento (tipo Lovecraft) ma anche dal fatto che non difendeva le sceneggiature dal produttore. Se avesse avuto una personalità più decisa invece che rimanere confinato nel ghetto di una piccola produzione, avrebbe anche potuto tentare una carta più ambiziosa, magari con gli americani. Lui soffrì una crisi di gelosia nei miei confronti quando nell’80 andai a lavorare in America (mi aveva chiamato Dino, per il quale avevo scritto Ogre da un mio soggetto originale insieme a Colin Wilson quello di Space vampires, a sceneggiare Man wolf e Ghost rider). I nostri rapporti si interruppero e lui, per dispetto, chiamò uno sceneggiatore di commedie che si limitò a fare qualche danno.
Aldilà… l’ho scritto nel ‘79 prima di vedere Shining, che vidi in America solo l’anno dopo. Avevo però ovviamente letto il romanzo, che a me continua a piacere più del film troppo spostato sulla follia. Suspiria è un film che amo insieme a Profondo rosso, vero capolavoro dal mio punto di vista e antesignano dei film sulle case con misteri. Certo ci sono assonanze (la casa, l’albergo ecc… non solo, la morte, l’Inferno…) ma è come dire che Ombre rosse e tanti altri western sono simili perchè ci sono gli indiani, i cavalli, la death valley, il ranch o il fortino assediato. L’Aldilà che è un po più scarno, senza fronzoli di storia, volutamente senza plot perchè voleva essere un incubo di emozioni e basta, avrebbe meritato un budget migliore. In origine aveva un finale diverso, senza zombi (è una balla che lo abbiano voluto i tedeschi, quel finale è stato inserito da Fulci, e dal produttore, come garanzia di vendita su certi mercati) il vero finale era un luogo strano, una specie di zona morta, tutta bianca, simile a quella, tutta rossa, ipotizzata da David Linch su Twin Peaks.
I film di Fulci, allora, furono molto boicottati. Non c’è stata nessuna indulgenza nei suoi confronti. Si lavorava quasi clandestinamente, con molte sofferenze e pochi soldi. Ancora adesso c’è gente che non mi saluta perchè ho scritto quei film. Ai piccolo borghesi benpensanti non piace che qualcuno scopra i loro orrori. Peccato. Quegli anni furono incredibilmente creativi. Fulci ed io avremmo potuto dare ancora qualcosa”.

D: Faccio un passo indietro, e ti chiedo maggiori dettagli sulle varie
versioni della sceneggiatura di Dèmoni 3 (poi La Chiesa, da non confondere con il Dèmoni 3 diretto da Umberto Lenzi). Ricordo che nel 1987, al programma tv Giallo, Dario Argento e Lamberto Bava parlarono di un aereo e di un vulcano…
Era uno dei primi trattamenti su cui hai lavorato?

Sacchetti:
“Sì. Demoni 3 originariamente era ambientato su un aereo che, per una perturbazione, andava a finire in uno strano universo, dove in una delle varie ipotesi affrontate c’era anche un vulcano. L’idea era quella di finire in una sorta di strano Inferno. L’aereo fu preso in considerazione perchè cercavamo un luogo chiuso, isolato, in una situazione totalmente avversa con un pericolo anche dentro. Diciamo una specie di Alien, con l’aereo al posto dell’astronave e i demoni al posto del formicone cattivo. Scrivemmo un paio di soggetti e anche dei trattamenti (alcuni li conservo ancora da qualche parte). Non era una storia malvagia, ma non girava bene. Aveva un errore d’impostazione. In più Dario, che in un primo momento era entusiasta dell’idea, si disamorò, così la mettemmo da parte. Trovammo subito l’alternativa nella Chiesa, che ci sembrò vincente. Passammo direttamente alla sceneggiatura da un soggetto piuttosto semplice. Ho partecipato a due stesure di sceneggiatura della Chiesa, fino a quella pressochè definitiva. Poi Soavi ha sostituito Lamberto che iniziava la sua carriera di produttore con otto film tv per la serie Alta Tensione tipo il Gioko, il Maestro del terrore, ecc. (dei quali approfondiremo, visto che le migliori sceneggiature sono proprio di Sacchetti, n.d.a.). Michele ha cambiato l’inizio introducendo a prologo la scena dei cavalieri templari, soprattutto ha cambiato lo stile narrativo. Michele è più “moderno” di Lamberto, usa di più i toni freddi, i blu, ha un modo di narrare più essenziale e nello stesso tempo più coinvolgente”.

D: Ruggero Deodato è, a mio parere, un altro grande regista molto abile a rappresentare sullo schermo quello che il pubblico desidera. Il suo nome viene, solitamente, associato a Cannibal Holocaust
Nel 1985, fatto decisamente strano e curioso perchè ormai il genere “cannibal” era tramontato, nelle sale esce Inferno in diretta: uno splatter molto crudo e violento che chiude
idealmente il ciclo iniziato con Il paese del sesso selvaggio
Cosa pensi di questo tipo di pellicole e come ha avuto origine la sceneggiatura del film?

Sacchetti:
“Ruggerino. Grande tecnica. Teoricamente è il migliore di tutti, lo frega il fatto di essere un freddo, un distaccato. Non si coinvolge nelle storie che racconta. E’ più un documentarista e, infatti, i suoi film migliori sono quelli narrati come se fossero veri documentari (guarda caso Cannibal holocaust, n.d.a.). Lì ha dato il meglio di sè. E’ l’unico vero regista di “cannibali”, molto imitato. Ruggero nella vita è una persona adorabile, sul lavoro è strano. Per Dario, tanto per fare un esempio, il lavoro è fatica, è necessariamente lungo e non bisogna mai accontentarsi della prima soluzione, il dubbio è il faro che illumina la scrittura di una sceneggiatura che può durare mesi e poi essere cambiata per una crisi improvvisa. Per Ruggero è il contrario. Il lavoro non deve essere faticoso, non deve durare troppo, deve essere semplice tanto poi ci pensa lui, girando, a sistemare le cose. Ma i film d’horror, i thriller, hanno bisogno di atmosfere, di plot, di situazioni e i registi che puntano solo sulla tecnica e non ci mettono cuore e pancia spesso fanno film anemici, arronzati”.

D: In precedenza hai citato il tuo rapporto con Umberto Lenzi (in relazione al poliziesco Roma a mano armata). Anche Lenzi, in campo horror, ha realizzato veri e proprio “gioielli”… Puoi raccontarci maggiori dettagli sulla figura di Lenzi e alle tue collaborazioni con lui?

Sacchetti:
“Con Umberto ho avuto un ottimo rapporto. E’ il regista con il quale, dal punto di vista del rapporto di lavoro, mi sono trovato meglio. Si stava alla pari, era complice e si rimboccava le mani scrivendo pezzi di copione come un vero co-sceneggiatore, pronto a riconoscere meriti ed idee. Con lui ha fatto parecchi film. L’Uomo della strada fa giustizia, Roma a mano armata, il Cinico l’infame e il violento, il Trucido e lo sbirro, la Banda del gobbo., la Guerra del ferro. Persino una commedia: Scusi lei è normale? impresa nella quale mi trascinò lui a tutti i costi, perchè Umberto è un entusiasta, per niente un calcolatore. A lui piace lavorare e fare tutto. Ha fatto anche film musicali un vero scorridore di generi cinematografici. Curiosamente con lui non ho mai fatto ne un giallo, ne un horror. I gialli li faceva prima che ci conoscessimo, gli horror ha cominciato a farli quando io li facevo con Fulci. Con lui ho fatto dei buoni polizieschi, almeno due che sono piccoli capolavori: Roma a mano armata e il Trucido e lo sbirro, film dove ho dato i natali al Monnezza. Reputo Umberto uno dei migliori registi di polizieschi che avrebbe potuto dare molto di più e a più alti livelli se avesse avuto un po d’attenzione per la sua carriera”.

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Barbara Torretti
Barbara Torretti
Editor e moderatrice della community di DarkVeins. Appassionata di cinema horror, mi occupo anche di recensioni e di interviste attinenti il circuito cinematografico, musicale e artistico.

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