Premessa:
per rendere di più facile consultazione l’intervista, si è optato di utilizzare un diverso tipo di colore per distinguere le domande (in grigio) dalle risposte (in bianco)…
A conclusione la biografia e filmografia del giovane autore…
D: Partiamo dalla fine, ovverosia dal periodo che, attualmente, vede in fase di postproduzione la tua fatica cinematografica (Il Bosco Fuori): come nasce questo progetto e come si sviluppa?
Gabriele: Il Bosco Fuori nasce da una vecchia sceneggiatura che scrissi nel novembre 2000, in seguito sottoposta a continue revisioni e riscritture fino a giungere alla forma che è ora. E’ il film che ho sempre sognato di vedere come spettatore ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare, almeno in Italia. E’ un horror eccessivo, crudele, feroce, colorato, pieno di sangue e di cinema-cinema. E’ un film che rompe i ponti con tutta quella che è la nostra tradizione da “cinema di qualità”, per riallacciarsi direttamente a quei maestri che per oltre vent’anni sono stati rinnegati: Sergio Leone e Dario Argento.
D: La limitazione di mezzi a disposizione, a volte, più che un limite diventa un “mezzo” per stimolare la fantasia degli autori di cinema: che devono, necessariamente, sopperire alla carenza di effetti speciali puntando molto più sulla tecnica e sulla sceneggiatura…
In che maniera tutto questo ha influito nella realizzazione de Il Bosco Fuori?
Gabriele: Il film è stato girato in fretta, in sole tre settimane, con budget e mezzi tecnici ridotti all’osso. Ho covato questo film dentro la testa per cinque lunghi anni, e poi finalmente, al momento della sua realizzazione, ho fatto sì che uscisse fuori con immediatezza, quasi con rabbia, come se il film ormai si facesse da sè. E queste limitazioni di budget e di tempo ovviamente si sono sposate con l’estetica e l’ideologia del film, che appartiene ad un cinema di guerriglia, sporco, lontano dalle carinerie e dagli imbellettamenti fotografici, e da tutto quello che è il bon ton cinematografico del bravo regista italiano. Il film è un pugno nello stomaco, ed è scorretto anche nello stile.
D: L´inserimento di scene altamente splatter, a volte, appare come arma a “doppio taglio”: spesso i film violenti vengono (ingiustamente) tacciati di superficilità narrativa. In tal senso molto difficile diventa gestire una buona storia con la presenza del gore.
Come ti sei posto di fronte a questa tematica?
Gabriele: Ormai è un logoro luogo comune da salotto quello che vuole l’horror esibito come meno efficace di ciò che invece non viene mostrato ma solo suggerito. Chiaramente, si tratta di emozioni e scopi completamente differenti. Il cinema di Cronenberg o di Romero, per esempio, si propone obiettivi emozionali e di senso che sono ben distanti da quelli che invece si propongono un Amenabar o uno Shyamalan. E se per questi ultimi l’esibizione del sangue risulterebbe fuori luogo e controproducente, per i primi è invece una fondamentale scelta tematica, filosofica ed emozionale. Insomma si tratta di obiettivi differenti. Argento non vuole emozionare allo stesso modo di Hitchcock: Argento ricerca il delirio, il parossismo, la rappresentazione quasi mistica della morte, e l’esibizione coreografica del sangue è quindi assolutamente funzionale e coerente a tutto ciò. E’ anche piuttosto infondato il pensiero che la presenza eccessiva di gore non si possa coniugare con una buona e valida sceneggiatura. Basti pensare ai film di Tarantino, che sposano in pieno la poetica del sangue. O a Sergio Leone prima di lui. O a Brian De Palma.
D: Puoi svelarci qualche dettaglio su Il Bosco Fuori, e darci indicazioni sulla possibile distribuzione dello stesso?
Gabriele: In questo momento stiamo ancora nelle ultime fasi di post-produzione, e contiamo di trovare un distributore interessato solamente a film finito. Quindi per il momento ancora non sappiamo nulla, anche se una sua distribuzione almeno in home-video è abbastanza sicura.
D: Puoi dirci quali sono state le tue impressioni negative e positive dell´esperienza sul set?
Gabriele: E’ stato un momento che ho rincorso per molti anni, e quando finalmente è arrivato tutto si è svolto molto in fretta. Non ricordo impressioni negative, se non il fatto che nella prima settimana di riprese non riuscivo a chiudere occhio durante la notte. Poi evidentemente mi sono tranquillizzato, e ho dormito senza problemi per le restanti due settimane.
D: La buona riuscita di un film, oltrechè dalla storia, dagli interpreti e dalla confezione, spesso è data dalla colonna sonora: quale sarà il motivo musicale del fim?
Gabriele: La colonna sonora è affidata a Silvio Villa, il mio compositore di fiducia, che già ha realizzato le musiche di quasi tutti i miei lavori precedenti. Con Silvio ci conosciamo dai tempi del liceo ed è sempre stata una presenza fissa nei miei primi film amatoriali, dove spesso era attivo anche come attore. Tra di noi c’è ormai una grande sintonia e lui sa subito cosa può piacermi e cosa no.
D: Non credi che l´attuale panorama cinematografico italiano (ed
il discorso può essere esteso a tutti i generi) possa ripartire proprio da produzioni a basso budget? In grado, cioè, di garantire un ritorno economico alle produzioni, in maniera tale da acquisire la fiducia dei finanziatori, magari riuscendo (nel tempo) ad ottenere capitali di maggior rilievo…
Gabriele: Assolutamente sì, soprattutto per quanto riguarda il cinema di genere. Essendo questo un territorio ancora da esplorare, dove i produttori italiani temono tutt’ora di avventurarsi, è doveroso ripartire dal basso costo. Anche per tagliare i legami con il cinema istituzionale e reazionario, e rimanere indipendenti. L’HDV in questo senso è una vera e propria arma per veicolare un cinema più libero, che torni a raccontare storie. Paradossalmente il cosiddetto cinema d’autore e d’arte, che è sempre stato relegato in circuiti di nicchia, usufruisce adesso di grandi investimenti e capitali (si pensi al meccanismo del finanziamento pubblico), mentre il cinema di genere, che per definizione è popolare e quindi commerciale, risulta oggi invece priorità di un manipolo di indipendenti che operano nei circuiti alternativi. Un vero e proprio rovesciamento dei valori che è indice di un sistema malato. E se Moretti negli anni 70 si opponeva alle volgarità di un cinema di genere che diventava sempre più sguaiato e serializzato, oggi è necessario opporsi al morettismo e a tutte le mostruosità autoriali che esso ha partorito.
D: Quali sono i modelli di riferimento del tuo cinema?
Gabriele: Il mio modello principale di riferimento è il cinema postmoderno rappresentato dalla linea Leone-Argento-Tarantino. Ovvero il cinema manierista di chi si è cibato della storia del cinema per riscrivere le coordinate dei generi. Ma poi tra i miei registi preferiti potrei citare anche Kubrick, Polanski, Mario Bava, Hitchcock, Friedkin, De Palma, Schrader, Coppola, Michael Mann, Avary, e via continuando.
D: Dopo Il Bosco Fuori, Gabriele Albanesi, ritenterà la strada del cinema italiano?
Gabriele: Sicuramente. Penso che sia molto importante rimanere in Italia, per costruire un nuovo cinema di genere italiano. Disprezzo chi tenta la fuga, chi emigra in cerca di lidi migliori. I nostri padri reclamano giustizia, e chiedono a gran voce che qualcuno riallacci quel cordone ombelicale che è stato spezzato. Non possiamo deluderli. La nostra generazione ce la può e deve fare.
Gabriele Albanesi (classe 1978, nato a Roma) si specializza in scienze della comunicazione prima di dedicarsi, in affiancamento ai Manetti Bros, alla realizzazione di interessanti videoclip musicali.
In seguito collabora all’interessante trasmissione televisiva Stracult –in veste di critico cinematografico- uno dei punti di riferimento per ogni “amante” del cinema di genere (in particolare quello italiano).
Suoi sono, inoltre, alcuni interventi apparsi nella rivista Zabiskie Point.
Ma la vera passione di Gabriele si manifesta agli inizi del nuovo millennio, quando –a seguito della sua partecipazione al Festival di Bellaria- riceve una manzione a “Corti di sogno”, presentando a Ravenna, poco tempo dopo, il cortometraggio Braccati (23 minuti).
L’anno seguente realizza L’Armadio (7 minuti) e nel 2003 Mummie (7 minuti); sino a lanciarsi nell’impegnativa scommessa di realizzare un lungometraggio indipendente grazie all’appoggio dei Manetti Bros e di Sergio Stivaletti (che si occupa del reparto spfx – Gore e Splatter): giungendo al Bosco Fuori (a cura della NeroFilm), attualmente in postproduzione, del quale lo stesso autore, ha rilasciato interessanti anticipazioni in questa stessa intervista….
– Mummie (2003) 7 minuti
– L’Armadio (2002) 7 minuti
– Braccati (2001) 23 minuti
– Il Bosco Fuori (2005) lungometraggio
– Ubaldo Terzani Horror Show (2011) lungometraggio
Intervista a cura di Fabio Pazzaglia