Dopo American Guinea Pig: Bouquet of Guts and Gore (qui la nostra recensione) diretto da Stephen Biro nel 2014, giunge alla nostra attenzione anche American Guinea Pig: Bloodshock, il secondo capitolo della serie americana ispirata alla saga orientale di Hideshi Hino.
Biro, ideatore del progetto nonché fondatore della label Unearthed Films, compare anche in Bloodshock in veste di sceneggiatore e di produttore mentre alla regia del film c’è Marcus Koch, quest’ultimo effettista, tra l’altro, di entrambi i capitoli.
Dopo questa breve introduzione, passiamo subito a parlare di Bloodshock, la cui storia vede protagonista un uomo (Dan Ellis) che viene torturato da un “mad doctor”. Le torture fisiche e psicologiche infertegli servono a testare il livello della soglia di sopportazione del dolore e quindi anche della resistenza fisica di un essere umano.
Bloodshock ci cala in questo contesto di dolore, reso ancora più tetro da un bianco e nero gelido ma allo stesso tempo elegante. Un b/w che sembra nascondere il colore alla realtà facendosi quasi metafora della vita spenta del protagonista, il quale ormai senza speranze, subisce il dolore che gli viene inflitto. Gli amanti degli snuff movie però potrebbero considerare questa scelta come limitativa, in quanto il bianco e nero si svuota, in un certo senso, dell’efferatezza delle torture compiute.
Fino alla fine del film non è noto il motivo per cui la vittima si ritrovi rinchiusa in una cella imbottita per poi essere ripetutamente torturata nello studio del dottore. Quello a cui lo spettatore assiste sono gli spostamenti a cui è sottoposto un essere umano: dalla cella alla stanza delle torture e viceversa. Costantemente e senza pietà per lo spettatore, queste scene si ripetono variando solo nel tipo di pena inflitta dal mad doctor. Si va dai pugni all’estrazione dentale, dalle martellate sul ginocchio al taglio della lingua, dalle incisioni e punti di sutura alla frattura delle ossa… il tutto scandito dall’angosciante ticchettio del metronomo o da suoni distorti d’effetto (Gene Palubicki e Jimmy ScreamerClauz). Il sound design accompagna il pubblico in un mondo perverso per offrire, come unica via di fuga, il silenzio.
Le sequenze, ripetute, hanno altresì il potere di trascinare lo spettatore in una dimensione malsana, rendendolo testimone inerme di fronte a tanta crudeltà.
Il film di Marcus Koch non è il solito film estremo che vomita torture negli occhi del pubblico a discapito di tutto il resto.
Oltre agli effetti speciali eccellenti (Koch ha dato prova della sua bravura in diverse occasioni), il film vanta una meravigliosa regia e un buon uso delle luci, pregi questi che solitamente latitano nel cinema estremo. Quando, in film come questo, tutto funziona (storia, sceneggiatura, regia, effetti speciali, fotografia e cast), allora l’orrore diventa davvero reale, quasi percettibile, tangibile. Bloodshock ne è un esempio.
Una nota di merito va anche agli attori, in particolare a coloro che hanno interpretato la vittima (Dan Ellis) e il carnefice.
Bloodshock di Marcus Koch regala anche un magnifico, inaspettato finale che sembra quasi donare un tocco di “colore” e di “amore” seppur in un contesto malato. Davvero molto apprezzato.
Il cast è composto da: Dan Ellis, Norm J. Castellano, Barron Christian, Alberto Giovannelli, Lillian McKinney, Gene Palubicki, Shiva Rodriguez, Maureen Pelamati ed Andy Winton.