
Il giornalista londinese Alain Foster si reca presso un club per intervistare lo scrittore del terrore Edgar Allan Poe. Assieme a questi c’è Lord Thomas Blackwood che nel corso della discussione esorta il giornalista a passare la notte del 2 novembre nel suo castello in cambio di cento sterline.
Il giovane Foster accetta la scommessa e una volta giunto nella lugubre costruzione farà la conoscenza della strana Elizabeth (Barbara Steele) e di Julia, morbosa convivente della prima. Dapprima invaghito dalla bellezza di Elizabeth, Foster si accorgerà che non tutto è ciò che sembra e che il castello è infestato da fantasmi assetati di sangue.
Danza Macabra rappresenta sicuramente l’opera omnia di Antonio Margheriti (qui firmatosi Anthony Dawson) ma soprattutto il clou dell’horror gotico italiano.
Pellicola inizialmente commissionata a Sergio Corbucci dagli sceneggiatori (fra i quali anche il fratello Bruno), Danza Macabra trovò la propria potenza espressiva solo grazie ad un Margheriti alle prime armi nel genere gotico. Lo stesso regista, consapevole delle difficoltà che avrebbe avuto nel ritentare una simile impresa, ha sempre riconosciuto questo film come il suo grande capolavoro.
Nel cast compare il nome di una grande Barbara Steele, fossilizzata sul genere grazie a grandi registi quali Mario Bava e Roger Corman (e nuovamente con Margheriti in “I Lunghi Capelli della Morte”) e sempre incastonata nei suoi ruoli.
Fra gli addetti ai lavori invece Riz Ortolani, musicista agli esordi di una carriera promettente ed il giovane aiuto-regista Ruggero Deodato (entrambi avrebbero fatto tremare il mondo nel 1979 per l’inaudita violenza dell’esplicito “Cannibal Holocaust”).
Danza Macabra è un film stilisticamente perfetto, impeccabile sia sotto il punto di vista narrativo che da quello prettamente orrorifico. Spettri, vampiri, mummie e zombi si intrecciano in un crescendo di emozioni gotiche dalle delicate venature lesbo (abbastanza espliciti i baci e gli sguardi fra le due conviventi).
Una sola pellicola in grado di fondere i capolavori di Freda, Bava e Caiano ma soprattutto di anticipare e condizionare il cinema di genere.
Recensione di Cerbero