
La progerie, una terrificante e rarissima malattia che porta alla degenerazione del corpo umano con sintomi di invecchiamento precoce, è alla base delle azioni omicide di Robert Dominici (Michael York) un affermato pianista. Nei suoi ultimi, tristi, giorni di vita si dedica all’omicidio più sfrenato e all’ossessione che il figlio nel grembo di Helene (Edwige Fenech), frutto di una breve relazione avuta con lui , possa nascere ereditando la terribile malattia.
Sulle tracce degli efferati delitti, il commissario Datti (Donald Pleasence) sospetta di Robert, ma elementi di rilevazione della Scientifica attribuiscono le azioni criminali ad un uomo molto più vecchio, depistando così l’intera indagine. Frattanto Robert, in concomitanza con la degenerazione del corpo, è sempre più provato psicologicamente e vaga, irriconosciuto per una Venezia festosa e spensierata (resa giosa da una festa di Carnevale); chiunque, casualmente, intreccia il suo cammino è destinato a pagare con la vita (prima un anziano che “teorizza” sull’invecchiamento, quindi una prostituta di una “casa d’appuntamento”).
Il musicista, ormai alla fine, si confessa (non riconosciuto) ad un amico di gioventù (Giovanni Lombardo Radice), diventato prete e mette in evidenza il suo “dubbio” (assai lecito) sull’esistenza di Dio…
Poi, ormai privo di forze, si avvicina alla casa dove vive Helene, intenzionato ad ucciderla…
Un delitto poco comune, noto anche come La casa di via Rubens, è un ottimo thriller e questa volta, assieme al riuscito effetto splatter, coniuga una trama di tutto rispetto oltre ad una discreta interpretazione sostenuta dagli attori. Si pensi, ad esempio, allo sfortunato personaggio interpretato da Michael York che, in un impeto di lucida follia, si lascia andare a divagazioni morali su Dio e sulla morte (bellissima la scena all’interno del confessionale, dove un atipico Giovanni Lombardo Radice assolve l’uomo dai suoi crimini). O, ancora, al ruolo dello sconvolto investigatore (un eccezionale Donald Pleasence) che, ossessionato dalle minacce telefoniche dell’assassino, si catapulta in una piazza gridando a squarciagola contro “l’inafferrabile” assassino.
Ottima pure, incredibile a dirsi, l’interpretazione di una superba Edwige Fenech. Poderosa, poi, tutta la parte investigativa (traviata da indizi contraddittori a causa del progressivo invecchiamento), così come la sequenza ambientata in un parco dove l’assassino, in una allucinante sfida alla polizia, uccide la collega dell’ispettore all’interno dell’autopattuglia e, nonostante venga sottoposto a confronto con una vittima che ha subito un’aggressione (la Fenech), riesce a sfuggire alla cattura.
Un film triste, fortemente drammatico, perfettamente calibrato e, soprattutto, curato sia sul piano narrativo che su quello visivo, basato su una impeccabile -e tremenda- rappresentazione di un fatto che, purtroppo, potrebbe essere estremamente realistico.
La sceneggiatura (opera di Clerici e Mannino) doveva essere utilizzata da Fulci per lo Squartatore di New York (1983), ma a seguito di alcune modifiche apportate da Dardano Sacchetti, il soggetto originale venne accantonato per essere riportato sullo schermo da Deodato in questa occasione.
Recensione di undying1