Amityville Horror (2005) | Recensione film

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amityvilleGeorge Lutz, assieme alla moglie Kathy e tre figli (di cui uno acquisito) decide di investire tutti i suoi averi -e le forze- per stabilirsi all’interno di una casa di proprietà…
L’occasione pare volgere alla concretezza quando, ad un prezzo decisamente invitante, al numero 112 di Ocean Avenue, ad Amityville(Long Island) trova un fabbricato da ristrutturare.
C’è solo un piccolo particolare, del quale l’agente immobiliare informa l’interessato: alcuni anni prima il giovane Ronald De Feo Jr., sotto l’influsso di alcune “voci”, sterminò la sua famiglia: sei componenti, uccisi in una notte (attorno alle 3,15) con un fucile…
Noncurante dell’avvenimento, ed incentivato dall’invitante costo del fabbricato, nel giro di breve tempo –dopo un veloce restauro- George si stabilisce, con tutta la famiglia, nella nuova abitazione.
Col trascorrere dei giorni, l’equilibrio psicologico di George pare vacillare sempre di più: mentre la figlia più piccola afferma di essere visitata (in orari notturni) da una bambina…
Una baby sitter, sconvolta dalla apparizione di una delle piccole vittime, avvalla l’ipotesi che, all’interno della casa, aleggi veramente una (o forse più) presenza demoniaca.
Circostanza suffragata da tutti i membri della famiglia: da Kathy, che ha veloci ed impressionanti visioni da incubo; ai figli, tutti testimoni di raccapriccianti manifestazioni…
Persino il parroco locale, giunto per benedire la casa, fugge in circostanze misteriose, dopo essere stato minacciato da una voce infernale.
Mentre Kathy, giunta alla biblioteca locale, scopre con orrore che nella cantina dell’abitazione (risalente a metà del 1600) un sadico personaggio si dilettava a torturare gli indiani: delineando, nel sottosuolo della casa “maledetta”, una camera di tortura…
Si avvicina il 28mo giorno di permanenza in quel posto: lo stesso arco di tempo intercorso dall’insediamento dei De Feo alla strage di alcuni anni precedente….

L’avvenimento, spacciato per anni come realmente accaduto, è stato narrato nel libro Orrore ad Amityville di Jay Anson al quale si è rifatto anche l’originale diretto nel 1979 da Stuart Rosenberg.
Abbastanza fedele agli avvenimenti narrati, il film, diretto dall’esordiente regista Andrew Douglas, si avvale di un’avvincente sceneggiatura (opera di Scott Kosar) e dalla buona resa interpretativa data dai giovani ed ispirati protagonisti (in particolare Ryan Reynolds e Melissa George).
Dopo un veloce ed inquietante incipt –inframezzato da documenti foto/cinematografici dell’epoca- nel quale assistiamo allo sterminio eseguito dal giovane De Feo (girato in un ”accecante” stile frenetico) la storia si accentra sulle vicende della famiglia, narrando la cronologia “infernale” dei 28 giorni da incubo vissuti dai protagonisti.
Ad uno stile narrativo fortemente influenzato dalla nuova ondata orientale (flash-backes veloci ed istantanei, atti a mostrare immagini di inquietanti presenze dall’aldilà) si sovrappone una storia fortemente contratta. Costa al risultato (comunque positivo) dell’intera operazione l’approfondimento apparentemente superficiale dei caratteri, evidente nel brusco e repentino cambio “d’umore” di George Lutz… Al tutto aggiungiamo un finale (di particolare resa narrativa) che non è stato adeguatamente sviscerato sul piano delle immagini e che risulta –fortemente- addolcito al fine di allargare il target del pubblico.
Alcune interessanti modifiche rispetto al film originale, come la differenza “estetica” della baby-sitter o la presenza –al posto del terrificante maiale fantasma- di Jody (sottoforma di spettro della piccola Jodie De Feo), non fanno altro che confermare l’influenza del cinema orientale: nel quale è quasi (sempre) presente il classico spettro femminile con capelli lunghi e corvini che coprono il volto.
Intendiamoci: Amityville Horror è un riuscito remake, forse uno dei migliori in campo horror, anche in considerazione del fatto che la pellicola originale –pur storica- non raggiunge un risultato “artistico” memorabile. Ma quello che più lascia l’amaro in bocca è constatare come il tutto poteva rivelarsi compiuto (ad esempio approfondendo il “personaggio” sadico e torturatore di indiani) a fronte di un risultato piacevole, ma decisamente limitato a meno di 80 minuti!

Recensione a cura di Undying1

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