
Anna (Virginie Ledoyen) giunge allo stabile del Saint Ange, incaricata di occuparsi delle pulizie del vecchio orfanotrofio: giusto in tempo per vedere lo stesso svuotarsi momentaneamente. E, giusto in tempo, per ricevere, da parte di una delle bambine in partenza, un ammonimento “stai lontana dai bambini che fanno paura”…
La giovane ragazza (con un passato tutt’altro che idilliaco) rimane in compagnia di Judith (Lou Dillon) una vecchia inserviente e di una ragazza cresciuta nell’istituto e, apparentemente, instabile nei suo ragionamenti: tanto da apparire schizofrenica.
Anna, sconvolta dai continui riferimenti a strani accadimenti avvenuti in passato al Saint Ange, comincia a prendersi cura dell’unica ragazza rimasta all’orfanotrofio: la quale insinua il dubbio sul comportamento dell’anziana inserviente…
Per Anna, appesantita non soltanto dal lavoro e dalla tensione, ma anche dal fatto di essere incinta, inizia un lungo e interminabile percorso nel delirio: dal momento che avverte, all’interno dell’enorme fabbricato, strane presenze; presenze che paiono uscire dai suoi incubi e concretizzarsi in passi e rumori misteriosi provenienti dai lunghi (e vuoti) corridoi e dalle lugubri (e tetre) stanze buie…
La ragazza, ormai al limite della sopportazione, aggredisce l’inserviente per sapere cosa sia accaduto tra quelle mura: ai tempi della seconda guerra mondiale, giunsero all’orfanotrofio centinaia e centinaia di bambini; ma il numero esiguo di medici non poteva arginare le necessità dei piccoli, destinati ad un atroce destino…
La verità si cela dietro ad uno specchio… Cosa si nasconde in quella camera “nascosta”?
Dove conduce quel montacarichi che guida, in basso (in viaggio in discesa), verso l’anticamera dell’inferno, l’impaurita e determinata Anna?
Saint Ange rappresenta il debutto in regia di Pascal Laugier: un appassionato di cinema di genere.
Debutto voluto da Christophe Gans che, sul set di Il Patto dei Lupi, si è servito del regista per la realizzazione delle riprese del backstage.
Laugier ventilava da tempo l’idea di portare sullo schermo una sceneggiatura impostata su un’orfanotrofio maledetto: sino a quando Christophe Gans ne lesse il copione rimanendone affascinato…
E con buone ragioni, dato che il film, pur inserendosi sul genere delle “case maledette” trasuda tutta la passione del giovane e promettente autore: ad iniziare dall’idea di legare la storia a tre protagoniste femminili, per proseguire con una scenografia “maestosa”, dove l’enormità del fabbricato e l’ampia misura dei corridoi e delle stanze riportano alla mente quel gioiello del brivido che è Suspiria. E non a caso, perché i riferimenti al cinema italiano del terrore sono molti di più di quelli che è possibile cogliere ad una prima visione.
La presenza della Catriona MacColl ed il finale con gli occhi privi di iride rimanda direttamente all’Aldilà di Fulci…
E le luci, spesso di tipo tricolore, mantengono un’atmosfera “baviana” per tutto l’incedere della vicenda.
La passione di Laugier, d’altro canto, non è frutto di interpretazione (o mal interpretazione) dei vari contesti: come si evince anche dal backstage, nel quale l’autore menziona i suoi modelli di riferimento, tra i quali, per impostazione “narrativa” figura anche The Oters…
La storia è interpreta con professionalità dai bravi interpreti e la macchina da presa non lesina raffinate ed insolite dissolvenze…
Saint Ange si configura come uno dei migliori rappresentanti della paura suggerita, come una imperdibile occasione di iniziare un viaggio, che parte dal quotidiano per condurci nel sogno, venato da un forte senso di malinconia e da una sola certezza: siamo soli su questo pianeta, abbandonati alle nostre paure e, vanamente/disperatamente, ancorati alle illusorie speranze…
L’unica nota stonante è il finale: di tipo “codificato” e lasciato all’immaginazione degli spettatori; anche se forse, a ben vedere, quegli occhi senza iride rimandano, inconsciamente, al mondo dei sogni e degli incubi. Al mondo delle favole e degli spaventi notturni: quando, da piccoli, prima di addormentarsi nelle nostre orecchie fluivano parole “ipnagogiche” come “uomo nero”, “lupo mannaro”, “strega cattiva”, “orco”…
Recensione a cura di Undying1