
73 a.c. Cinque gladiatori dell’antica Roma, stanchi dei maltrattamenti a loro riservati, si ribellano, per macchiarsi di immani violenze. Spartaco vendicherà le vittime di crocifissioni, stupri e infanticidi, giustiziando i cinque assassini proprio davanti al tempio della dea Nemesi.
Oggi. Tre ragazzi romani sono in auto assieme a due ragazze straniere conosciute la sera prima. Il gruppo si sta recando in un bosco nel quale si terrà un rave party abusivo. Ormai buio, questi parcheggiano l’auto su una strada sterrata e proseguono a piedi tra la fitta vegetazione. Le intenzioni dei ragazzi non sembrano essere delle più pure.
Quando l’antica Roma incontro il Massacro del Circeo. Quando il rape&revenge si mescola allo zombie-movie o per spararla grossa quando i morti di Lucio Fulci si fondono a quelli di De Ossorio. Questo è Morituris.
Dopo una riuscitissima sigla/prologo animata (ormai trendy) da cui si evince la storia dei gladiatori, tra l’altro ben musicata attraverso la scelta di sonorità folk ricondubili al periodo romanico, Morituris sfoggia la palese mancanza di idee, rivelando un’ignoranza tipica del nuovo cinema di genere italiano.
Sin dai primi minuti lo spettatore viene catapultato in un osceno e interminabile minutaggio di discorsi, inutili al proseguio del film e che tra l’altro sembrano rubare spazio alla già di per sé esile durata della pellicola. I più attenti potrebbero trovarvi affinità con i primi minuti di In the market ma per fortuna qui il gioco regge e seppur non trovandoci davanti ad una sceneggiatura di tarantiniana memoria, gli attori riescono a tenere la scena.
Perché continuare quindi nella considerazione del film? Perché Morituris è, nel suo piccolo, un capolavoro.
L’opera prima del regista Raffaele Picchio si discosta dalle attuali produzioni italiche per la sua originalità di fondo. Laddove molti continuano ad osannare e omaggiare il talento ormai estinto di Dario Argento, perseverando nel vano intento di forgiare una nuova identità per il nostro cinema sui calchi di ciò che era, Picchio sceglie strade ancora più retrò, quelle degli anni ’70.
La storia, lineare e quasi banale, è scritta da Gianluigi Perrone a sei mani con Tiziano Martella e con Raffaele Picchio mentre gli effetti speciali sono dell’icona tricolore Sergio Stivaletti. Il comparto musicale dell’opera è invece firmato da Riccardo Fassone.
La crew funziona a dovere e riesce ad elargire allo spettatore l’amore indubbio provato per il cinema di Lucio Fulci, per quello di De Ossorio e per la musica metal più estrema.
Se Raffaele Picchio è un fan dei film sui Resuscitati Ciechi è riuscito a dimostrarlo appieno regalandoci immagini sacre degne delle prime apparizioni dei cavalieri templari ne Le tombe dei Resuscitati Ciechi. Allo stesso modo, i grevi gemiti dei gladiatori ricordano indubbiamente i lamenti dei morti viventi in Paura nella città dei morti viventi.
Estremamente low-budget, il film non presenta scene esplicitamente cruente e pertanto la collaborazione con Stivaletti è da ritenersi quasi sprecata.
Nota di merito per l’attrice protagonista Valentina D’Andrea che sembra giunta con questo lavoro ad una svolta professionale. La sua mimica facciale è per antonomasia lo specchio della classica vittima del rape&revenge prima e della carne da macello nello slasher poi.
Breve plauso anche agli altri interpreti che non hanno costretto alla scelta del doppiaggio.
Morituris è in definitiva l’icona del talento cinematografico dormiente della nostra penisola.
Questo almeno per quanto riguarda la versione cut tedesca edita con il titolo Morituris – Das Böse gewinnt immer. Questa edizione riporta in copertina un divieto ai minori di 18 anni sebbene non contenga pressoché alcuna traccia di violenza esplicita nei suoi 63 minuti di durata. In sostanza facilmente trascurabile perché anche offrendo un’ampia prospettiva del valore del film, lo amputa della sua vera natura, fatta di brutalità, pessimismo e antireligiosità.
Fortunatamente però ho avuto modo di visionare la versione uncut così come voluta da Raffaele Picchio e da Gianluigi Perrone, reperibile sotto edizione francese col titolo Morituris – Legions of the dead e della durata complessiva di 83 minuti. La censura cinematografica italiana non è giunta ovviamente oltre il confine e così quanti volessero godere del film nella sua imparziale totalità dovranno cercarlo nell’edizione d’oltralpe nella quale è compresa la versione con audio italiano DTS 5.1.
Sin dai primi secondi, ovvero nel corso dell’antefatto precedente la sigla animata coi titoli di testa, ci si viene posti dinanzi a scene disturbanti. Bastano pochi frame infatti per condurci nell’inferno della pedofilia che, seppur accennata, illustra chiaramente quale siano state le motivazioni che hanno spinto il MOIGE a sporgere denuncia nei confronti della pellicola.
La versione uncut di Morituris presenta non soltanto l’interminabile discorso iniziale, stavolta forse alleviato dal corposo minutaggio in più a disposizione, ma anche una cospicua e quasi inaccettabile sequela di violenze di tutti i tipi che potrebbero far gridare all’esagerazione. Schiaffi, calci e pugni oltre che la più infima degradazione morale, sono soltanto un incipit delle indigeste scene di stupro ai danni delle due ragazze straniere protagoniste.
Morituris non lascia nulla all’immaginazione e, tanto per citare un esempio, assisteremo ad un violento rapporto orale dopo il quale la vittima si ritroverà a sputare abbondanti dosi di sperma.
O ancora si vedrà Francesco Malcom seviziare una donna la quale viene sottoposta ad una pratica bondage in cui un topolino incanalato in un tubo scende famelico verso le sue interiora genitali.
La carneficina messa in atto dai gladiatori ritornanti stavolta, invece, dimostra pienamente la scelta di annoverare Sergio Stivaletti tra le file della crew. Ottimi effetti speciali old style che divertiranno e paradossalmente rilasseranno dopo la brutale sequenza degli stupri.
Quanti, abituati al rape&revenge attendono con trepidante fervore l’arrivo della vendetta divina per gli stupratori dovranno ricredersi. I balordi saranno puniti, dalle stesse ragazze, solo con una sassata e con una coltellata all’addome. Al resto ci penseranno i gladiatori, al servizio della Dea Nemesi che non giudica nessuno.
In Morituris non esiste giustizia divina e Dio viene relegato in un angolino, all’ombra delle fauci del destino, governato da Nemesi.
Come Moira, qui Nemesi rappresenta la giustizia al di sopra di ogni divinità, fede o credenza. Alla Dea, i gladiatori offrono il sangue delle loro vittime, trucidando buoni e cattivi al cospetto di un ordine che è superiore a quello degli uomini, del loro dio e della giustizia terrena e ultraterrena.
Nel film compaiono solo 12 persone, tutte mietute (o no?) per mano dei gladiatori sotto il volere di Nemesi. 5 di queste sono carnefici (il pedofilo dell’antefatto, i tre balordi e il pervertito sessuale), mentre 4 sono le vittime dei primi (la bimba, le due ragazze straniere e la slave del gioco erotico).
Degli altri non si avrà mai diritto di saper nulla. Male che vada, il fato è stato generoso. Che possa esserlo anche verso Raffaele Picchio e Gianluigi Perrone.
Sia fatta la volontà di Nemesi.
Curiosità dalla versione in lingua francese:
– I tre balordi sono italiani mentre le ragazze delle turiste francesi.
– Nei discorsi incentrati sui gusti musicali, il nome della band australiana Bestial Warlust viene letteralmente tradotto con un Profanation Bestiale.